Aspirazioni di una generazione: tensione tra campo e fuori-campo
Dottoranda in “Paesaggi della città contemporanea: politiche, tecniche e studi visuali”
Dipartimento di architettura, Roma Tre
Tensione è un registro della complessità. Quattro dottori e assegnisti di ricerca attraversano le città leggendone gli elementi che permettono di cogliere la tensione. Se il mondo non è solo mutato o in crisi ma ha cambiato forma (La metamorfosi del mondo, Beck, 2017) occorre lo sguardo di uno scienziato che rintracci nei corpi relazioni evolutive, incompatibilità, simbiosi che fanno pulsare quei corpi di aspettative di compimento. Sovrapposizione, fraintendimento, differenza di valore, contatto: ciascuna categoria della tensione riconduce a un modello metodologico, diventa lente per filtrare la tensione. Guardando al modo in cui le tracce di questa nuova forma si attualizzano, la città è intesa tre le righe dei quattro saggi al cuore del lavoro come un modello, con i suoi elementi in tensione. Modello per parlare di cosa?
Michele Cerruti But, Agim Enver Kërçuku, Giulia Setti, Ianira Vassallo ri-settanno in modo equanime le categorie della tensione con delle schede. La struttura, né verticale/gerarchica né orizzontale, è incarnazione di un dialogo rizomatico che lascia immaginare occasioni di lavoro passate e future e che usa il modello-città per raccontare una rieducazione alla speranza (Ferraro, 1998) che passa attraverso le parole condivise.
Come nella maggior parte dei saggi disciplinari recenti, sullo sfondo degli sforzi interpretativi c’è la questione di un “dopo-architettura” che richiama ad una presa in carico gravosa gli studiosi urbani. Se gli autori condividono con i contemporanei la ricerca di nuove modalità, non si lasciano affascinare dal paradigma dell’influenza e riscoprono la lentezza dell’educazione[1]. L’influencer dell’urbano cerca reagenti da in-serire mentre chi e-duca con le forme dello spazio alla convivenza cerca di “trarre ex” il potenziale che è unica premessa per un vero raccolto comune. L’enzima che educa allo spazio non è colorante ma pharmakon, supporto materiale della memoria e della spazializzazione[2]. Svelare la tensione fa ricordare a chi agisce che la propria umanità è profondamente radicata nell’urbano, pur senza essere in equilibrio con tutti gli elementi.
Con una prefazione e le note conclusive, Cristina Bianchetti, Gabriele Pasqui, Ilaria Valente e Paola Viganò sono i quattro maestri presenti, fuori-campo, in questo progetto e-ducativo. Dichiarano il superamento della parabola degli studi urbani che dalle grandi teorie ha virato verso la stagione delle descrizioni. Non chiede più soltanto di essere descritto lo scenario di una dimensione urbana “sospesa dalla crisi” senza “contrapposizioni radicali e definitive” (Bianchetti). Lo scenario infatti è scena costruita del vivere ma diventa anche panorama del metodo, denunciando un bisogno di tesi meta-disciplinari che non si affidino soltanto all’interdisciplinarità come mezzo per l’affrancamento dalla “tempesta dentro la quale la disciplina si trova” (Vassallo, p. 112).
Frutto di una ricerca calma, non schiacciata sulla forma letteraria dell’articolo e sull’omogeneità editoriale (Bianchetti), il volume affronta implicitamente il tema del lavoro intellettuale e del rapporto tra architettura e politica. Gli autori rispondono con un’alleanza all’insegna della ricerca di un linguaggio comune. Riflettendo sul proprio lavoro di scrittura, si sottraggono al monopolio del discorso intriso di negoziazione politica e rallentano, soffermandosi sulle ricerche in corso o già concluse. Dove ci collochiamo noi? L’auto-rappresentazione degli urbanisti è sostenuta dallo sguardo della generazione appena precedente che incoraggia ad uscire dall’ossessione per la carriera dottorale, considerando originale la propria voce che pronuncia intenzioni e rinomina l’esistente. Le voci tra Venezia (IUAV), Milano (Politecnico) e Torino (Politecnico) iniziano ad intrecciarsi durante l’esperienza di ricerca Territories in crisis, interrogandosi sul “mutamento della grana del mondo” (Bianchetti) e infatti nel mondo sono collocate. Sono i maestri che restano fuori-campo, sostenendoli nell’esplorazione, che confermano la posizione dei propri successori: in campo.
Abaco della descrizione o abaco della performatività dello spazio? Tensione non è categoria estetica ma potenziale ancora invisibile da svelare con la forma in atto. Le auto-riflessioni raccolgono le aspirazioni della società ma soprattutto di chi scrive di città. La fiducia degli autori nella capacità della città di tornare “a essere una malleabile opportunità di ripensare il futuro” denuncia una volontà di plasmare città. Altro merito, che parrebbe un difetto per altre letterature, sta nel nominare all’interno dei casi studio una pluralità di attori richiamandone il senso di collettività. Segno dell’elaborazione del lutto dell’assenza di una “società” nelle letterature disciplinari è la scelta di casi in cui ad un’intensa produttività degli interni corrisponde una desertificazione del fuori. La dinamicità generata dalla tensione per fraintendimento non basta a ridurre quel silenzio. Gli pseudo-spazi pubblici trattati da Giulia Setti lasciano la voglia di descrivere ciò che manca ai caratteri di un luogo che si vorrebbe “imprescindibile” alla vita urbana.
La tensione per scomposizione (Cerruti But) a Prato interroga sulla densità della produzione associata all’auspicato destino di città produttiva fondata sulla creatività. La scomposizione denuncia un’insufficienza della critica, della scomposizione, della sintesi per dire come le cose stanno insieme in modo davvero creativo.
Nella Torino di Ianira Vassallo la tensione per differenza di valore invita a ricalibrare gli strumenti delle discipline, individuando condensatori che “mettono in evidenza la necessità di un progetto rinnovato, capace di andare oltre i concetti di flessibilità e porosità spaziale attualmente in voga”.
In Costa del Sol, Agim Enver Kërçuku riconosce una tensione per contatto che indebolisce il dualismo tra le categorie temporaneo/permanente. Le Urbanizaciones, che producono forme private di spazio collettivo servendosi di “iper-infrastrutturazione” a favore del turismo, spostano l’identikit del crimine dall’accumulazione di capitale e dall’incremento di popolazione verso le aspettative dei nuovi attori locali. Il campo di battaglia non è quello tra le strutture e le sovrastrutture ma sono le strutture che tra loro vengono in contatto a generare forme conflittuali di cui occuparsi.
Se quindi il pubblico, il politico e il progetto sono convenzionali e non efficaci, per parlare del potenziale della dimensione urbana il laboratorio aperto sulle tensioni sceglie come repertorio di riferimento la letteratura del conflitto, tentando di “riconcettualizzare il cambiamento della città fuori dall’idea di conflitto e di dominio” (Bianchetti). Gabriele Pasqui esorta a ricondurre i “capisaldi civili” e i “catalizzatori” individuati dai giovani ricercatori alla sfera di un conflitto incarnato anacronisticamente in alcune “figure”. Ritesse i punti di contatto tra la discordia (Platone), la lotta di classe (Marx e Engels), e la “figura” più propria della tensione che è il dissidio (Lyotard). La letteratura sul conflitto agisce da attivatore di aspettative rispetto ai luoghi. In una città incapace di essere immaginata, da cui non aspettarsi nulla (p. 39), come si piega la città alle proprie aspirazioni?
I nuovi temi centrali- ridisegno, riutilizzo, rigenerazione, riciclo terreni di scarto – diventate anche insidiose categorie di progetto dello spazio pubblico. Nel collocarsi nel “campo di pratiche conflittuali” (Pasqui, 2017: 25), non ci si smarrisce nel fascino dei duelli ma si cerca un committente. Grazie alla chiave di lettura delle tensioni, l’esplorazione dei margini (roccaforte di un atteggiamento emergenziale nel progetto urbano) è trasformata in coscienza del potere di alcune figure specifiche, non frequenti, capaci di suggerire temi e strumenti per affrontare la mutazione dell’orizzonte della committenza pubblica a privata in qualcosa di completamente diverso.
Cosa offre questa classe di ricercatori ad un committente ufficiale, ancora non pervenuto? La capacità di raccontare l’“avanzamento”, l’incrementalità. Probabilmente il maggiore merito sta nel costruire i presupposti di una letteratura scientifica urbanistica che si trasformi da supporto per la legittimazione della scelta pubblica a supporto per la scoperta del mondo. Il committente che deve ancora venire sarà quello in grado di stupirsi della scoperta del proprio potenziale.
Gli autori non si perdono nell’epitaffio di “cosa il progetto non è più”. La pervasività dell’urbano non induce a credere che progetto sia allora qualsiasi cosa ma che si rintraccino sostanze di progetto proprio nell’eccesso di forma, in cui è il ritmo ad essere importante, e le cose a temporalità paziente sono la salvezza per sfuggire all’emergenziale che in Italia soffoca il pensiero urbanistico da quasi un secolo.
Cambia l’idea di città? Cambiano gli interstizi e gli usi? Cambiano le forme e le invarianti di ciò che è urbano? Cambia la trans-scalarità dei fenomeni? Cosa rimane della città? Resta il linguaggio, la tensione lenta dei discorsi che sovvertono. Mettendone a fuoco la grammatica ì i giovani tradiscono i padri ma il patto con i maestri fa sperare che la comunanza di aspirazioni possa tessere una narrazione che sostenga chi governa con un progetto, con una visione tesa verso un futuro che ricominci ad esistere nel presente.
La tensione genera attrito, così lo spessore della sfida dell’architettura ridimensiona la crisi sullo sfondo. Oltre la dimensione politica e pubblica c’è la figura sfumata dell’urbanista che ridefinisce empaticamente il proprio ruolo. L’osservatore è in campo, il progettista che vuole trasformare è fuori campo, la domanda di progetto è in campo, i maestri fuori-campo. La ricerca del baricentro mobile che tenga insieme la rappresentazione (prima che il mondo stesso) è in corso e il narratore quando va nel mondo sa tornare e garbatamente raccontarci il viaggio.
Titolo:Tensioni urbane. Ricerche sulla città che cambia
Autore:Michele Cerruti But, Agim Enver Kërçuku, Giulia Setti, Ianira Vassallo
Editore: LetteraVentidue
Pagine: 175
Prezzo: 18 €
Anno di pubblicazione: 2017
Note
[1] Mi riferisco ad alcune conferenze di Andrea Colamedici e Maura Gancitano, per la Scuola di filosofia e immaginazione, Tlon, 2017. Rimando al loro Lezioni di meraviglia, Edizioni Tlon, Roma 2017.
[2] “Dal pharmakon come agente di decostruzione della tradizione metafisica, si giunge così alla grammatizzazione e alla farmacologia, prospettiva al tempo stesso di critica, di terapia e di costruzione dell’essere umano.” P. Vignola, “Il pharmakon di Stiegler. Dell’archi-cinema alla società automatica” in V. Cuomo (a cura di) Medium. Dispositivi, ambienti, psico-tecnologie, KE Edizioni-Youcaprint, Tricase 2015, pp. 35-36.
immagine di copertina: Tensioni urbane. Ricerche sulla città che cambia, p. 90. Fotografia dall’opera “Titani” dell’artista MP5; Archivio fotografico dell’Associazione Variante Bunker.