ISSN 1973-9702

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di Giorgio Piccinato 

Cominciamo col ricordare il ruolo che assume il visitatore, nel suo faticoso trascorrere da un luogo all’altro, ciò che comporta una sorta di adesione fisica all’esposizione: frastornato da mille immagini e dai cento indovinelli proposti dagli espositori, non sempre riconosce le ragioni del suo vagare. Bisogna ammettere però che questa volta è aiutato da un filo conduttore quasi ovunque riconoscibile e ciò costituisce un’elementare quanto utile innovazione.

Questa Biennale si è dotata di un tema,  Absorbing Modernity 1914-2014, e tutti, disciplinatamente, l’hanno affrontato. L’hanno affrontato i padiglioni nazionali, ed è in realtà affrontato anche in quella esposizione detta Fundamentals  (una collezione di porte, soglie, soffitti, scale, ecc.) che si presenta come un gigantesco manuale dell’architetto corredato da una collezione di esempi –oggetti, plastici, immagini- che ne ripercorrono finanche la storia. C’è anche un terzo settore, a mio parere il più interessante, dall’accattivante titolo di “Monditalia”.

Come e perché un’esposizione di architettura? Al di là di ovvie giustificazioni di carattere mondano – turistiche, dirette a soddisfare il narcisismo delle migliaia di architetti che popolano il mondo, mi sembra lecito chiedersi il senso di un’operazione del genere. In realtà, se non ci si vuole limitare agli “elementi di architettura” come i fundamentals di Rem Koolhas (dei quali peraltro la Biennale mette in evidenza lo spessore antropologico e mitico) si tratta di discutere dello spazio costruito, ciò che significa architettura, usi e società che lo produce e utilizza. E questo non coinvolge solo l’architettura e gli architetti. Dunque una esposizione di architettura è anche una esposizione di altro.

Come comunicare lo spazio costruito? Le fotografie, le lunghe e spesso illeggibili didascalie si rivelano inefficaci, ricordi di esami universitari e tesi di dottorato, certo incapaci di restituire il senso e l’emozione (quando c’è) dell’architettura. In (quasi) tutti i padiglioni si progettano percorsi di visita e, seppur in misura e finalità diverse, si fa ricorso al video, sotto forma di spezzoni di film, di documentari o di interviste a critici, storici e architetti. L’immissione di partiture di danza in Monditalia si rivela un elemento straordinariamente efficace nel suo riproporre quell’elemento fisico tridimensionale che –organico all’architettura reale – manca negli altri modi comunicativi quali i testi o le immagini. Come se fosse proprio la ricchezza d’immagini, suoni, istallazioni e cartografie a richiedere elementi di silenzio e di movimento reale, non una commistione ma una vera e propria partecipazione di forme espressive.

La sezione chiamata Monditalia – la più sperimentale e quindi la più confusa e interessante- affronta l’impresa impossibile di dire tutto sulla storia, la geografia, la vita sociale e politica, l’economia e l’antropologia (ecc.) d’Italia. Il visitatore viene informato che si tratta di 41 ricerche cui hanno partecipato centinaia di giovani ricercatori di diversi Paesi, liberi di proporre temi e approfondimenti della realtà o della invenzione relativi a 100 anni di storia d’Italia. Se tutto non era possibile dire, c’è però molto, e spesso con particolare intelligenza espositiva, sulle tendenze, le sfide, gli scandali ed anche sullo spessore dei contesti storici, geografici e culturali che ci segnano. L’Italia colonialista, l’Italia mondana, l’Italia di Michelangelo e Pasolini, dei terremoti e delle alluvioni: testi più o meno brillanti e film (82!) si susseguono lungo un telo che riproduce l’ingrandimento di una carta medievale del Paese. Sono in gran parte l’esito di ricerche condotte da gruppi di giovani provenienti da diversi Paesi, a conferma che l’innovazione viene da loro piuttosto che dai maestri.

In tanto sfolgorio di luci, colori e trovate di ogni genere si distingue il padiglione del Portogallo. Consiste in un paio di quelle vetrinette stradali per giornali, comuni in tanti Paesi, da cui, premendo un pulsante (e non una moneta), esce un giornale di quaranta pagine, illustrate, scritte fittamente, che affrontano in modo esauriente il tema della modernizzazione portoghese. Una contestazione della filosofia espositiva della Biennale, o forse solo un espediente dettato dalla povertà? A me è parso il padiglione migliore, e comunque quello da cui ho imparato di più.