’15 – ’18: trasformazioni urbane al fronte
Assegnista di ricerca, Università degli Studi Roma Tre
Il 2018 è un anno importante[1], ricorre infatti l’anniversario della fine della Grande Guerra che ha visto le truppe italiane impegnate principalmente lungo un fronte che si estendeva sulle Alpi orientali, dallo Stelvio al mar Adriatico. Dopo tre anni di guerra in trincea, l’Italia ne usciva vincitrice e alcuni territori conquistati, che correvano lungo il fronte, diventavano ufficialmente italiani. L’Alto Adige, la Venezia Giulia e il basso Friuli venivano accorpati al Regno con un ritardo di quasi 60 anni rispetto all’Unità d’Italia e festeggiano quindi solo oggi il loro secolo da italiani. Un processo di annessione che ha prodotto, a livello locale, distruzioni belliche ma anche processi di riassetto e trasformazione di città e territori imposti dal nuovo governo. Il contributo restituisce il caso di Aquileia, in particolare trasformazioni apportate sul complesso basilicale durante il primo conflitto mondiale che hanno rappresentato un riassetto dell’area modificandone la percezione e l’uso fino ai giorni nostri, anche se, all’apparenza, non sembrano aver lasciato traccia alcuna.
La città. Aquileia fondata nel 181 a.C. per volere del Senato di Roma, è stata capitale della X regio e importante città dell’impero romano grazie alla sua posizione strategica sull’alto Adriatico, facilmente raggiungibile dal mare (con il porto posto sul fiume Natissa) e contemporaneamente protesa verso l’entroterra (base logistico-militare per la conquista dell’Europa centro-orientale). È utile qui ricordare come Aquileia abbia rappresentato fin dalla fondazione[2], e a seguire nei secoli[3], il fulcro di un territorio culturale più vasto. Un territorio dai confini fisici manifesti e limiti politici talvolta imposti e che col tempo si è fatto teatro di incontro e fusione, non sempre in modo pacifico, tra culture diverse. Qui si sono trovati celti, romani, veneti, slavi, unni, longobardi, friulani, veneziani, austriaci, francesi, turchi, italiani, ecc. influendo profondamente sulla storia di questi luoghi, lasciando manifestazioni tangibili e immateriali del loro passaggio, ad esempio, nel modo di vivere il territorio e nel variegato mosaico linguistico adottato ancora oggi dalle popolazioni locali. Qui la storia ha tenuto uniti più volte i popoli mentre altre volte li ha separati in modo anche brutale e sanguinoso. La storia ha visto Aquileia e i suoi territori al centro di una rete di commerci importanti (la via dell’Ambra), di interessi religiosi (il Patriarcato) e politici (la Repubblica di Venezia e l’Impero Austro-ungarico) e di campagne militari importanti (le incursioni turche, la campagna d’Italia di Napoleone così come le due guerre mondiali). Oggi Aquileia è una realtà di poco più di 3.000 abitanti con grandi potenzialità economico-turistiche: l’area archeologica (foro romano, porto fluviale, mercati tardo antichi, necropoli e domus nei fondi Cal ed ex Cossar) e il complesso basilicale che testimoniano i fasti di un passato ormai remoto sono stati dichiarati Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 1998.
Aquileia italiana. Quando l’Italia entra in guerra, nel maggio 1915, gli aquileiesi maschi erano già stati richiamati alle armi da un anno, così come in tutto l’impero Austro-ungarico. Con l’arrivo dei bersaglieri, il 24 maggio 1915, la città diventa italiana ma i suoi uomini combattevano la guerra sul fronte opposto. La popolazione, italiani alle prime armi, non sapeva per quale bandiera tifare. Per gli italiani navigati, invece, Aquileia rappresentava a tutti gli effetti “(…) un’importante base logistica; ma pure un luogo emblematico, nel quale romanità, cristianità e italianità di fondevano” (Bandelli, 1993; p. 174). Infatti fin da subito questi si prodigarono per la valorizzazione del patrimonio storico e archeologico già visibile o per portare alla luce quanto ancora fosse nascosto. Nel luglio 1915, a seguito dell’internamento del parroco di Aquileia, il Soprintendente alla conservazione del patrimonio artistico delle zone occupate, Ugo Ojetti, chiama in città don Celso Costantini[4] come reggente della parrocchia e Conservatore della Basilica. La comunità, in ansia per i propri cari, “sistematicamente boicottava le prediche ultranazionalistiche di don Celso Costantini” (Fornasir, 1970; p.27) e si riparava dal cappellano Spessot, successivamente internato in Sicilia[5]. Costantini passa gli anni della guerra prevalentemente ad Aquileia (a parte la pausa di Caporetto) assumendo un ruolo attivo nei processi di trasformazione urbana del complesso basilicale. La sua presenza in città non sembra essere del tutto casuale e legata al semplice ruolo pastorale. Personalità capace di influenzare e coinvolgere, interessata all’arte e all’archeologia[6], ad Aquileia rappresenta il giusto elemento su cui le alte cariche istituzionali e militari italiane potevano contare. L’impegno profuso dallo Ojetti e dal Costantini per la valorizzazione di quest’area sembra notevole, i due promuovono infatti: il recupero del mosaico teodoriano all’interno della Basilica (già scoperto e restaurato dagli austriaci prima dello scoppio della guerra); la realizzazione di un cimitero di guerra[7] in sostituzione del cimitero esistente, posto dietro l’edificio religioso; l’inventario del Museo archeologico insieme al confermato direttore Michael Abramich. Questi sono gli anni in cui Aquileia vive un periodo di riscoperta, in cui personaggi illustri come Cadorna, Diaz, Porro, il Duca d’Aosta e D’Annunzio rendono omaggio, con l’aiuto dello Ojetti e del Costantini, al complesso basilicale e visitano gli scavi archeologici nonostante la guerra si combattesse sul carso, poco lontano. Aristide Calderini nel 1930 scrive: “(…) e mentre il Comando Supremo dell’Esercito Italiano procedeva alla tutela del materiale archeologico e artistico Aquileiese, per nulla rispettato dalle bombe austriache, articoli di giornali e di periodici e libri di propaganda non mancavano di esaltare la romanità Aquileiese” (Buora, 1999; p.45).
Gli interventi. Il mosaico teodoriano scoperto e restaurato dagli austriaci poco prima della guerra, posto all’interno della Basilica ma ad una quota inferiore, fu rimesso in assetto dal Costantini e dall’Ojetti[8]. Il pavimento, coperto da uno strato di terriccio di protezione, venne ripulito con l’aiuto di soldati messi a disposizione dal Generale Vercellana per essere inaugurato alla presenza del Re nel luglio del 1915 ed essere successivamente messo in mostra. Molti furono gli articoli pubblicati dal Costantini sulla rivista “Arte Cristiana” sui mosaici rinvenuti[9]. È all’esterno della Basilica però che si rivolgono le maggiori attenzioni degli italiani nel triennio della guerra: a nord, attorno alla torre campanaria (XI secolo), si iniziano nel 1917 gli scavi per portare alla luce quella che verrà riconosciuta come la seconda Basilica teodoriana. A finanziare gli scavi il Duca D’Aosta. Su quest’area già nel 1893 il conte Karl von Lankoronski, autore del libro “Der Dom von Aquileia”, aveva finanziato alcuni saggi che portarono alla luce resti archeologici (successivamente ricoperti) e che facevano intuire l’esistenza di due basiliche paleocristiane, risalenti al IV secolo d.C., distrutte da Attila. Le due basiliche, fatte costruire da Teodoro dopo il 313 d.C., erano probabilmente uguali e di pianta rettangolare, fra loro parallele e separate da un cortiletto ma collegate da un corridoio. La Basilica posta a sud, sulla quale sorge oggi quella di Popone, e la Basilica a nord, oggetto degli scavi, lunga circa 37 metri e larga 17, a tre navate con accesso dal corridoio che la collegava all’altra Basilica. Per proteggere i resti[10], in parte cancellati dalle fondazioni del campanile, e per risolvere lo scavo venne ideata dall’Ojetti una soletta in cemento armato che però venne realizzata nel 1918, dopo l’interruzione di Caporetto. Quando Costantini tornò ad Aquileia, infatti, come direttore del Museo archeologico si realizzò la copertura dell’aula nord su disegno dell’architetto Guido Cirilli, in continuità con il piano del cimitero, aperta da lucernari e appositi accessi per i visitatori e coperta con uno strato di zolle d’erba.
Aquileia in questo periodo è campo base di riferimento per le armate impiegate sul carso e la Basilica vede un continuo afflusso di soldati. Costantini è incaricato dal Duca d’osta di svolgere le commemorazioni dei caduti della Terza Armata proprio nella Basilica e nel retrostante cimitero. Oltre a scavare per riportare alla luce i resti romani, da mostrare a capi di stato e delegazioni in visita, tornano dal fronte soldati feriti e in fin di vita. I caduti erano sempre più numerosi e si ritenne necessario creare un nuovo cimitero militare, spostando quello civile[11], che si trovava sul retro della Basilica e in uso almeno dal periodo altomedievale. Scrive il Soprintendente alla moglie nell’agosto del 1915: “(…) devo far spostare il cimitero che è dietro la chiesa, e che ora ha accolto le salme di soldati nostri e anche di soldati nemici morti nell’ospedale di Monastero lì vicino, ed è colmo. E il suolo di Aquileja è, lo sai, tutto suolo ‘archeologico’ dove dovremo fare scavi. Bisogna trovar lo stesso il posto per un nuovo cimitero. Ho ottenuto dieci soldati e domattina faccio far saggi in un luogo dove molti anni fa furono fatti ed eseguiti degli scavi (…)” (Ojetti, 1964; p.64). Trovato il luogo dove tumulare gli aquileiesi, vecchi e nuovi, l’area antistante la Basilica diventa cimitero di guerra[12]: “Quando nel luglio del 1915, io andai ad Aquileia, il cimitero era sparso di tumuli irregolari e dava l’impressione di un luogo poco curato. Qualche salma di soldato era già stata sepolta, e altre salme venivano dagli ospedali di Monastero. Bisognava stabilire un ordine per la sepoltura. Tracciai il viale, quale si vede oggidì; mandai un autocarro a Concordia a svellere le piante di bosso, che avevo nell’orto della mia canonica, e le feci trapiantare ai margini del viale. Predisposi secondo un piano regolatore le sepolture dei soldati. Il comune di Firenze regalò gli allori, che fanno siepe lungo il muro di cinta, e Ugo Ojetti inviò le benziane, che si arrampicarono sull’abside della Basilica (…)” (Costantini, 1948; p. 201-202). Il parroco parla con la sicurezza di un urbanista mentre nelle lettere del Soprintendente alla moglie si leggono richieste di consiglio: “Ad Aquileja dovrei piantare una siepe di lauri in fondo al cimitero dietro la chiesa, il cimitero dei nostri primi morti. Quasi cento metri di muro. Su quante file si pianta il lauro? Vorrei dire al sindaco di Firenze di mandarmelo.. noi daremo le rose per dietro l’abside, e saranno molte. Quando si piantano? Vorrei rose ad alberello” (Ojetti, 1964; p. 135). Nel 1917 il Consiglio centrale della Dante Alighieri regalò le croci con un intreccio centrale di fronde di lauro e quercia in ferro battuto attorno ad un disco di bronzo dove sono incisi i nomi dei caduti. Dopo la fine della guerra la sistemazione del cimitero continuò con la realizzazione di un altare, a firma del Cirilli, sormontato da un arco che incornicia il carso e che chiude una fossa sepolcrale coperta ad erba dove nel 1921 verranno tumulati i militi ignoti.
Cambiamenti. Il cambio di guardia imposto dalla guerra ad Aquileia ha accelerato i processi di riqualificazione e sistemazione proposti dagli austriaci per l’area, seguendo però un’altra ottica: il complesso religioso diventa monumento simbolo di italianità redenta. Le sistemazioni dell’area basilicale proposte dagli italiani, a partire dal 1915, si sono concentrate sopra-tutto su quattro luoghi che qui vengono messi a sistema entro una nuova articolazione spaziale e che coinvolge anche una dimensione temporale: la Basilica ovvero luogo di cristianità e arte; i mosaici di epoca teodoriana ovvero simboli di appartenenza a Roma; il cimitero dei caduti simbolo di italianità; il piazzale antistante la Basilica che si pensò di trasformare “eliminando strutture ad orti per ospitare una dopo l’altra grandi manifestazioni patriottiche. Ogni sforzo venne profuso per migliorare l’interno della Basilica e l’area circostante” (Milocco, 1999; p.38). Questi luoghi si fondono fra loro entro le sistemazioni proposte che hanno alterato le spazialità preesistenti del complesso basilicale così come i loro usi. Oggi, parte delle valenze nazionalistiche sono andate perdute e i segni si sono ormai sedimentati, cristallizzandosi nella memoria, gli usi continuano però a ripetersi in quei luoghi, dopo un secolo di storia, conservandosi, contaminandosi con altri, mutandosi, ..
Bibliografia
Bandelli G. (1993). “Gli scavi di Aquileia tra scienza e politica (1866-1918)”, in Gli scavi di Aquileia: uomini e opere. Antichità altoadriatiche, vol. XL, pp.163-188. Udine.
Bertacchi L. (2003). Nuova pianta archeologica di Aquileia. Udine.
Brusin G. (1929). Aquileia. Guida storica ed artistica. Udine.
Buora M. (1999). “Un anno in Aquileia. Mutazioni del ‘paesaggio’ aquileiese nel 1915”, in Quaderni Aquileiesi n.2. Udine.
Costantini C. (1948). Foglie secche. Esperienze e memorie di un vecchio prete. Tipografia artistica. Roma
Costantini C. (1919). “I mosaici cristiani scoperti ad Aquileia negli ultimi scavi”. In Nel XXI centenario della fondazione di Aquileia, Venezia.
Costantini C. (1917). Aquileia e Grado. Guida storico-artistica. Milano.
Fornasir G. (1970). “Chiarimenti storici su alcune note di guerra 1915-1918 di Celso Costantini, Ugo Ojetti e Gabriele D’Annunzio” in “Atti dell’Accademia di Udine” serie VII, vol. IX.
Medeot C. (1969). Storie di preti isontini internati nel 1915. Centro studi Rizzatti. Gorizia.
Menis G.C. (1974). Storia del Friuli. Dalle origini alla caduta dello Stato patriarcale (1420) con cenni fino al XX secolo. Udine. Società Filologica Friulana.
Milocco G. (1999). “Aquileia prima e dopo il 24 maggio 1915”, in Quaderni Aquileiesi n.2. Udine.
Ojetti U. (1964). Lettere alla moglie 1915 – 1919. Sansoni. Firenze.
Piussi S. (1983). “Le guide della città e dei musei”, in Antichità altoadriatiche, vol. XXIII. Udine.
Simonato R. (1985). Celso Costantini tra rinnovamento cattolico in Italia le nuove missioni e le nuove missioni in Cina. Concordia sette. Pordenone.
Immagini
copertina: mosaico “La Lotta tra il Gallo e la Tartaruga” conservato nella “cripta degli scavi” (fonte basilicadiaquileia.it).
fig.1: Basilica di Aquileia, dall’esterno (fonte basilicadiaquileia.it).
fig.2: Basilica di Aquileia, il mosaico della basilica teodoriana sud (fonte basilicadiaquileia.it).
Note
[1] Urbanisti e architetti italiani quest’anno ricordano anche i cinquant’anni dall’emanazione del Decreto interministeriale sugli standard urbanistici. Su questo tema alcuni ricercatori del Politecnico di Milano, dell’Università degli Studi Roma Tre, dell’Università IUAV di Venezia e dell’Università degli Studi di Trieste hanno da alcuni mesi avviato una riflessione per approfondire e specificare radici, bilanci e prospettive dello strumento definito tecnicamente dal D.I. 1444/68.
[2] Nel 2019 ricorreranno i 2200 anni dalla fondazione della colonia romana.
[3] Per una lettura della fondazione della città e delle successive fasi di sviluppo: Brusin G. (1929). Aquileia. Guida storica ed artistica. Udine; Costantini C. (1917). Aquileia e Grado. Guida storico-artistica. Milano. Per una visione più oggettiva sull’archeologia si consulti per esempio:Bertacchi L. (2003). Nuova pianta archeologica di Aquileia. Udine.
[4] Sull’arrivo del Costantini ad Aquileia ci sono diverse opinioni (Fornasir, 1970; Medeot, 1969; Simonato, 1985) che mettono in relazione l’arrivo del nuovo parroco con l’internamento di Giovanni Meizlik, succeduto a Luigi Sambuco morto nel marzo 1913.
[5] Sull’internamento del cappellano, Don Francesco Spessot, coadiutore del Meizlik, si può leggere l’Ojetti che scrive alla moglie: “Domani nel pomeriggio andrò ad Aquileia chè ho fatto internare il cappellano di don Celso, d’accordo con don Celso, e dobbiamo sostituirlo” (Ojetti, 1964; p.114).
[6] Le conoscenze acquisite in giovinezza sui libri di storia dell’arte ma anche sul campo (da giovane fece il muratore), la passione per la scultura e i continui stimoli a cui era soggetto, fra cui per esempio gli scavi di Concordia Sagittaria, gli permisero di fondare la società “Amici dell’Arte Cristiana” nel 1912 e la rivista “Arte Cristina”, edita a Milano nel 1913.
[7] In occasione delle celebrazioni militari Gabriele D’Annunzio scrisse un salmo dedicato ad Aquileia che verrà poi scolpito su una lapide ancora oggi visibile presso il cimitero dei caduti: “O Aquileia, donna di tristezza, sovrana di dolore tu serbi le primizie della forza nei tumuli di zolle all’ombra dei cipressi pensierosi. Custodisci nell’erba i morti primi, una verginità di sangue sacro e quasi un rifiorire di martirio che rinnovella in te la melodia. La madre chiama e in te comincia ilo canto. Nel profondo di te comincia il canto l’inno comincia degli imperituri quando il divino calice s’inalza. Trema a tutti i viventi il cuore in petto Il sacrificio arde fra l’alpe e il mare. Gabriele d’Annunzio – Salmi 2. Nov. 1915. Cancellata dai nemici, riscolpita nel Novembre 1918”.
[8] I lavori di restauro presieduti dal dott. Anton Gnirs risolvono infelicemente, secondo il Costantini, il raccordo fra le basi delle colonne e il piano del mosaico realizzato con pesanti zoccolature.
[9] I suoi interessi in questo campo sono raccolti nel volume “Guida d’Aquileia e grado” edita nel 1916 da Alfieri-Lacroix. Secondo alcune fonti (Fornasir, 1970; Piussi, 1983) nella scrittura dei testi Celso Costantini attinse a piene mani dal testo di Karl Von Lanckoroski, “Der Dom von Aquileia”, e da un articolo sul museo di Aquileia apparso in “Arte Cristiana” nel 1916 a firma di Michael Abramich.
[10] Fra i mosaici dell’aula teodoriana nord, ancora oggi visibili nella così detta “cripta degli scavi” (dove sono conservati resti archeologici di quattro epoche diverse) quello più famoso è forse la “Lotta tra il Gallo e la Tartaruga” (immagine di copertina). Il Costantini su questa raffigurazione scrive: “La lotta tra il gallo e la tartaruga forse vuol rappresentare la lotta tra la luce e le tenebre, tra il paganesimo sconfitto e il cristianesimo vincitore. (…) La coppa posta sopra i due lottatori, il gallo e la tartaruga, indica il premio che si dà al vincitore. Se la scena non avesse un recondito significato simbolico, non si capirebbe la ragione di aver qui rappresentata la coppa e di avere ripetuta questa scena già raffigurata nell’altra basilica” (Costantini, 1919; p.51).
[11] Il cimitero troverà posto a nord della città (nella posizione attuale) sopra le fortificazioni di Giuliano l’Apostata (361 d.C) e l’antica via Annia.
[12] Nello stesso cimitero sono ancora sepolti i dieci militi assieme a Maria Bergamas “madre” del milite ignoto tumulato nel Vittoriano a Roma.