ISSN 1973-9702

di Elisabetta Capelli

Dottoranda, Dipartimento di Architettura, Roma Tre

 

È il 1990 quando Ugo Ischia (Arco 1954 – Milano 2005) discute la propria tesi di dottorato sul rapporto tra etica e urbanistica, precorrendo temi di giustizia spaziale che dal decennio successivo avrebbero permeato il pensiero critico di sociologi e urbanisti. Ha da poco partecipato alla redazione del piano regolatore di Jesi coordinato da Bernardo Secchi, e si appresta a conciliare attività professionale e carriera accademica. Lavorerà infatti, tra gli altri, al piano regolatore generale di Canazei nel 1993 e ai piani provinciali di Bergamo nel 1993-94 e Milano nel 1997-98, e parallelamente diventerà ricercatore, poi professore associato presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. La riflessione sui fondamenti etici dell’azione pianificatoria sarebbe rimasta al centro dei suoi interessi, così da indurlo a rielaborare la tesi in vista di una pubblicazione che, tuttavia, continuò a rimandare. A sette anni dalla prematura scomparsa, Monica Bianchettin Del Grano ne ha curato infine l’uscita per le edizioni Donzelli, con il titolo riportato sull’ultima versione dattiloscritta dall’Autore, datata 5 maggio 1996: La città giusta.

Anche se l’orizzonte entro cui Ischia si muove è ancora connotato dalla centralità del piano, e non contempla quei cosiddetti programmi complessi che di lì a poco ne avrebbero sancito il graduale superamento, è innegabilmente suggestivo il richiamo all’autorevolezza dell’urbanistica che la sua riflessione contiene.

Attraverso le posizioni sostenute dai più influenti urbanisti italiani tra gli anni Cinquanta e Settanta, l’Autore ritrae una disciplina animata da un vivo dibattito sulla propria valenza politica e funzione sociale. Non di meno si sofferma sul suo statuto epistemologico, tra pretesa di scientificità e consapevolezza della dimensione comunicativa e persuasiva entro cui l’azione urbanistica è chiamata ad esercitarsi. Il “disincanto” che la connota all’indomani della seconda guerra mondiale e della caduta del fascismo viene da lui interpretato come “conseguenza non secondaria della nuova condizione nella quale l’urbanistica […] si ritrova ad affrontare problemi non solo della città, ma soprattutto del proprio ruolo sociale entro un contesto politico divenuto di colpo, e paradossalmente, molto più complesso” (2012, p. 4): una situazione che nel corso del tempo si sarebbe inesorabilmente acuita sia sul versante professionale, sia a livello disciplinare, intersecandosi con l’ondata di ripensamento post-modernista che a partire dagli anni ottanta coinvolse ogni campo del sapere, e che sotto molti aspetti si perpetua fino ad oggi.

Se, infatti, le origini della pianificazione moderna affondano nella persuasione di poter migliorare la società mediante il ricorso a particolari configurazioni spaziali, la realtà ha viceversa dimostrato che l’urbanistica non è in grado di opporsi al più ampio scenario socio-economico e dunque non può svolgere una funzione antistrutturale. L’idea di urbanistica come arte del rimedio è nota, ma, anche se l’Autore non si rifà esplicitamente a Leonardo Benevolo a questo proposito, nelle sue pagine è percepibile la risoluta tensione a rivendicare per la disciplina un ruolo di maggiore influenza. La diffusa trattazione dedicata alla rendita come tema di giustizia distributiva e alla tutela dell’ambiente come responsabilità morale risponde a tale obiettivo.

Sullo sfondo della riflessione di Bernardo Secchi sull’alternanza tra “espansione” del discorso urbanistico – a livello di tematiche, obiettivi, strategie, attori – e “riduzione” improntata a rigore scientifico, Ischia si sofferma infatti sui diversi approcci con cui tali questioni sono state affrontate nella storia della disciplina, per evidenziarne le istanze etiche implicitamente sottese.

Ne discendono visioni dell’urbanistica come azione riformatrice, come esercizio interpretativo dei fenomeni urbani e delle loro connessioni con lo spazio, come pensiero critico e denuncia degli interessi privati che procedono a discapito delle città. Proprio su quest’ultima opzione, accuratamente illustrata attraverso il pensiero di Lewis Mumford, sembra convergere l’adesione dell’Autore, in particolare quando, a margine di estese citazioni dell’urbanista e sociologo statunitense, osserva che la pianificazione “non può essere adattativa, non può accogliere acriticamente le esigenze”, ma “deve procedere ad una revisione dei valori socialmente riconosciuti”, per poter orientare il sistema delle relazioni sociali ed economiche verso un nuovo ordine (2012, p. 111). Solo così essa “recupera la parte essenziale del modo di procedere proprio dell’utopia intesa come capacità creativa, come invenzione sociale, come “arte” rivolta al miglioramento. Non si tratta di disconoscere lo scenario storico-culturale entro cui ci si colloca: Ischia si dichiara consapevole del rischio di autoreferenzialità insito in un approccio astrattamente utopico. Si tratta di coltivare l’auto-riflessività della disciplina come condizione di autorevolezza e come espressione di un’etica della responsabilità.

 

Titolo: La città giusta. Idee di piano e atteggiamenti etici.

Autore: Ugo Ischia

Editore: Donzelli

Pagine: XVII-160

Prezzo: 28 €

Anno di pubblicazione: 2012