Ricollocare la questione abitativa nei territori urbani in contrazione
di Marco Peverini e Sara Caramaschi
Marco Peverini, Dottorando in Urban Planning, Design and Policy, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, Politecnico di Milano
Sara Caramaschi, Assegnista di Ricerca in Urban Studies, GSSI – Gran Sasso Science Institute
Nella letteratura accademica continua a trovare molto spazio il tema della questione abitativa delle maggiori città italiane, in particolare quelle in cui il mercato immobiliare pone particolari pressioni sulla popolazione. Ciò si può almeno in parte considerare un retaggio di una tradizione che lega la questione abitativa all’attrattività di popolazione e alla crescita demografica, cioè alla pressione esercitata sul mercato dalla domanda in condizioni di crescita – esemplificata dal parametro del “fabbisogno” (Sabatinelli, 2016). È innegabile che le maggiori città italiane, soprattutto Milano, presentino gravi problemi di affordability riconducibili anche a pressione di domanda e discrasia tra prezzi/canoni di offerta e redditi disponibili (Peverini, 2021). Tuttavia, l’Italia è in continua decrescita demografica e, seguendo la metafora dell’«Italia dei pieni e dei vuoti» (Cersosimo et al., 2018), pochi luoghi si riempiono mentre la maggior parte del paese è in svuotamento. In altre parole, il territorio è in progressiva e ineludibile contrazione, caratterizzandosi per crisi demografica e funzionale più o meno conclamate, sovrabbondanza e obsolescenza di patrimonio residenziale, declino del mercato immobiliare e forme più o meno gravi di abbandono e inutilizzo. Gli ultimi decenni si connotano, infatti, per fenomeni che contraddicono sempre di più il modello di sviluppo delle grandi città e delle forme urbane diffuse (Zanfi, 2014) – nonché i modi consueti di pensarlo secondo i paradigmi di crescita ed espansione – combinando nuove forme di decentramento e ricentralizzazione che ci chiamano a interrogarci «sul ruolo della “abitabilità” e sulle effettive opportunità di trasformare questi territori» (Curci et al., 2020). Nonostante lo svuotamento, esistono indizi molto chiari che anche in questi territori in contrazione insistono rilevanti questioni abitative che, però, non possono essere ricondotte a, e affrontate con, le tradizionali categorie di analisi e strategie di intervento.
Come si pone dunque il problema dell’abitare nei territori urbani in contrazione? In primo luogo, crediamo esso non si configuri tanto come problema quantitativo, insistendo in questi sistemi urbani una offerta sul mercato immobiliare solitamente superiore alla domanda reale. Questo surplus quantitativo, peraltro, si pone più come fattore problematico – ad esempio per il suo mantenimento o adeguamento – che come vantaggio, ancorché possa essere visto come un’opportunità per innescare dei processi di miglioramento (Daglio et al., 2021). Coerentemente, la nostra tesi è che la questione abitativa dei territori in contrazione sia perlopiù qualitativa. Nel dire ciò, facciamo riferimento al più generale concetto di «fatica di abitare» imputabile «alla scorretta organizzazione, al malfunzionamento, alla discontinuità di un sistema di servizi e attrezzature che per questo tende spesso a generare scomodità, disagio, insicurezza e talvolta pericolo» (Tosi, 2009: 88). Le problematiche che dunque si incontrano in questi territori sono più spesso legate alla qualità dell’abitare, non solo in riferimento a disponibilità e condizioni dell’abitazione – e alle sue caratteristiche di abitabilità, adeguatezza, affordability – ma anche a tutte le condizioni esterne ad essa che compongono e caratterizzano la vita quotidiana in un luogo. L’imporsi della contrazione territoriale e della competitività tra diverse aree urbane del paese come principali fattori di cambiamento ha dunque condotto a profonde evoluzioni negli usi dello stock edilizio, nelle dinamiche del mercato immobiliare e nelle stesse funzioni che impattano sull’abitare.
In Italia, le condizioni abitative di chi rimane a vivere nei territori in forte contrazione non ha attirato la stessa attenzione dei grandi quartieri popolari delle città in veloce trasformazione o dei fenomeni di concentrazione nei poli attrattivi. Tuttavia, questa è una condizione diffusa che sempre più appare essere complessa e articolata, un “wicked problem” (Armondi, 2014) di difficile gestione e soluzione che mette a dura prova il sistema consolidato delle politiche locali (Bricocoli et al., 2016). In realtà, osservando il dispiegarsi degli effetti della contrazione territoriale in altri contesti occidentali già abbiamo un ventaglio di politiche e azioni per garantire un abitare degno e di qualità in questi contesti. Se da un lato la ricerca accademica si è concentrata sulla riorganizzazione di spazi e servizi, dall’altro un ampio dibattito ha elaborato i concetti di downscaling e rightsizing, ovvero percorsi di innovazione territoriale capaci di trovare la giusta misura, ridimensionando lo spazio in eccesso in un’ottica di ricomposizione dei divari e di maggiore sostenibilità ecologica, economica e sociale (Cassatella, 2021; Coppola et al., 2021). La trattazione che proponiamo della questione abitativa nell’Italia in contrazione si colloca in questa direzione ed è di carattere esplorativo [1]. Rimanendo in contesti fortemente urbani – e dunque escludendo aree interne e Italia di mezzo – si riportano due situazioni che permettono una prima riflessione sulle condizioni abitative di questi territori.
Il primo caso riguarda Torino e si concentra su una porzione di città tra il mercato di Porta Palazzo e l’area di Basse di Stura, un territorio complesso che attraversa i quartieri di Aurora, Barriera di Milano e Borgo Vittoria [2]. Sebbene i profondi cambiamenti economico-occupazionali e urbanistici avvenuti nell’ultimo quarto di secolo abbiano fortemente colpito Torino (Ciaffi et al., 2019), questa porzione di città non si caratterizza per una perdita di popolazione. A differenza delle zone centrali o di alcuni quartieri periferici, qui il vuoto lasciato da chi nel tempo ha scelto l’hinterland metropolitano è stato riempito da nuovi abitanti. La contrazione è principalmente economico-finanziaria e funzionale, caratterizzata dallo svuotamento dei grandi contenitori industriali e dalle relative criticità ambientali, dalla diminuzione dei valori immobiliari – arrivando a meno 25% tra 2010 e 2016 [3] – e dalla crisi delle attività e delle funzioni a servizio dell’abitare, risolta spesso con contestati tentativi di riqualificazione (Bonini Baraldi et al., 2021). A fronte di ciò, si pone la questione della capacità delle istituzioni di rispondere alle dinamiche di una popolazione che, accompagnandosi a fenomeni più generali come invecchiamento e immigrazione, è andata nel tempo modificandosi e per certi versi “residualizzandosi”, acquisendo dunque nuovi bisogni. Ad esempio, in questo territorio la richiesta per alloggi popolari è più elevata che nel resto della città, l’incidenza degli sfratti è rilevante e drammatica ed è ricorrente la condizione di famiglie a basso reddito in affitto in alloggi costruiti oltre 40 anni fa e urgentemente bisognosi di ristrutturazione e adeguamento [4]. Oltre alle questioni sociali e materiali, questo territorio manifesta una forte carenza di attrezzature pubbliche e servizi cui l’impetuosa crescita industriale non ha lasciato spazio. Le istituzioni, in un contesto di generale rarefazione di risorse e investimenti, possono innescare processi trasformativi prevalentemente attraverso le forze private del mercato immobiliare o grazie a bandi di finanziamento, negoziando con interessi “altri” rispetto ai bisogni reali del territorio. Un esempio concreto, in questo senso, è il riutilizzo della grande area abbandonata dell’ex stabilimento Fiat Grandi Motori, la cui funzione industriale è stata dismessa a partire dagli anni ‘70 e su cui erano previste progettualità capaci di incrementare le qualità dell’area (De Rossi & Durbiano, 2006). Tuttavia, attualmente l’area è di proprietà privata (Esselunga S.p.A.) e la riqualificazione prevede una grande piastra logistica per attività di e-commerce, medie strutture di vendita, un’area turistico-ricettiva (residenze per anziani e studenti) e un’area a parco. Come già avvenuto per altre zone della città – si veda il caso di Cascina Fossata – la disponibilità di risorse e iniziative private rischia di condurre a una trasformazione non rispondente ai bisogni del quartiere ma, riproponendo il paradigma dell’intervento puntuale, di intervenire secondo un orientamento progettuale di sviluppo immobiliare.
Il secondo caso riguarda la città vecchia di Taranto [5]. La contrazione demografica di questa parte di città ha inizio negli anni ‘70, quando alcune politiche abitative, di igiene e di sviluppo portano al ricollocamento della popolazione, allora in forte crescita, verso i nuovi quartieri residenziali (Leogrande, 2018). Oggi il Borgo Antico conta meno di 3.000 abitanti a fronte di 443 edifici residenziali censiti e sebbene il 50% delle abitazioni sia di proprietà pubblica le condizioni di deperimento dello stock non ne permettono l’utilizzo per fini sociali. La qualità dell’abitare della città vecchia, nonostante l’incalcolabile patrimonio storico e ambientale, è andata dunque compromettendosi, non solo per la presenza del vicino impianto siderurgico ma soprattutto per le criticità legate all’abbandono e allo stato di rovina degli edifici – 247 su 888 risulta fatiscente – alla scomparsa di servizi e attività commerciali, alla carenza di infrastrutture e sottoservizi di base [6]. A queste criticità localizzate si aggiunge il più generale declino demografico ed economico della città: parallelamente alla crisi dell’industria siderurgica (10.000 occupati in meno in 15 anni) insiste una continua perdita di popolazione (oltre 50.000 abitanti in meno), portando Taranto a essere considerata un’emblematica shrinking city (Camarda et al., 2014). Intanto, nella città vecchia abitano perlopiù coloro che, nonostante il continuo decadimento materiale e funzionale del territorio, non hanno i mezzi o le ragioni per andarsene. Si configura anche qui un processo di residualizzazione in cui cambiano le caratteristiche del tessuto sociale e i profili di bisogno, determinando un problema complesso le cui risposte progettuali continuano a fallire (Grillo et al. 2020). Nonostante le numerose risorse “latenti” e le tante iniziative pubbliche e pratiche collettive in campo (Bajomi et al., 2020; Castaldo et al., 2020), permane il ricorso a discorsi e politiche legati a un paradigma di attrazione di investimenti, soprattutto turistici e immobiliari, che collide con i bisogni degli abitanti attuali. Emblematico è il ricorso all’ormai classica alienazione di proprietà immobiliari pubbliche a prezzo simbolico, le cosiddette “case a 1 euro” [7].
Questi due brevi affondi mostrano due contesti urbani molto diversi per storia, caratteristiche ed evoluzione in cui però insistono dinamiche di declino a diverse scale che pongono questioni rilevanti di governo del territorio. Tra i tanti temi che possiamo estrapolare, due poniamo qui criticamente. Il primo è quello della residualizzazione: la contrazione determina cambiamenti strutturali nel tessuto sociale, funzionale e urbano che generano sfide per la pianificazione e mettono in tensione il paradigma della crescita, configurandosi come wicked problems. Il secondo è che questa tensione non scatena una nuova consapevolezza nella pianificazione – prendendo atto delle esigenze del tessuto sociale e agendo verso forme progressive di downscaling/rightsizing – portando i diversi attori sociali e istituzionali a riproporre il paradigma della crescita immobiliare e dello sviluppo nelle poche (e strette) vie concesse dalla contrazione di risorse. L’effetto è quello di non essere all’altezza di opportunità e sfide poste, in primis abitative e socio-demografiche, perdendo da un lato l’occasione di immaginare nuove possibili ecologie e traiettorie evolutive capaci di distaccarsi da quelle che si configurano unicamente come fattore di sviluppo e di valorizzazione, e dall’altro rischiando di inasprire l’abitare di chi non si sente coinvolto da tali interventi.
Note
[1] Questo testo prende spunto da lavori di ricerca più ampi seguiti dagli autori e dall’esperienza svolta a Torino in occasione del Workshop YOUNGERSIU 2021.
[2] Questo territorio è stato esplorato in occasione del Workshop YOUNGERSIU 2021 “Pianificare la città in contrazione: pratiche di ricerca e traiettorie progettuali”.
[3] Elaborazione Rapporto Rota 2018 su dati Omi – Agenzia del Territorio (cartografia M4.3).
[4] Elaborazione Rapporto Rota 2018 su dati Area Edilizia città di Torino (cartografie 4.1, M7.5, M7.6, G4.2, M4.4).
[5] Questo territorio è stato esplorato in occasione del workshop “Dealing with wicked problems. The case of Taranto old town”, corso di dottorato in Urban Planning, Design and Policy (2019) del DAStU, PoliMi.
[6] Si veda il Contratto Istituzionale di Sviluppo per l’area di Taranto del 2018.
[7] Nel 2020 sono stati messi a bando sei immobili, link.
Riferimenti bibliografici
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Didascalie
Copertina: Il quartiere Barriera di Milano, Torino. Foto di Sara Caramaschi.
Fig.01: Torino. Obsolescenza e inutilizzo del patrimonio abitativo privato. Foto di Sara Caramaschi.
Fig.02: Torino. Intervento di riqualificazione a Borgo Vittoria: Cascina Fossata. Foto di Sara Caramaschi.
Fig.03: Torino. Contestazioni in Corso Vigevano contro il progetto di recupero dell’ex stabilimento Fiat Grandi Motori. Foto di Sara Caramaschi.
Fig.4: Taranto. Gli edifici in abbandono e in rovina in corrispondenza di Via di Mezzo nella città vecchia di Taranto. Foto di Marco Peverini.
Fig.5: Taranto. Rinforzi per evitare il crollo di edifici in Postierla Via Nuova. Foto di Marco Peverini.
Fig.6: Taranto. Il waterfront sul Mar Piccolo (tra i due edifici in rovina, l’edificio della casa occupata e biblioteca/palestra popolare). Foto di Marco Peverini.