Riflessioni sulle scelte economiche del “principe benevolo e onnisciente” nei trasporti
di Marco Ponti
Politecnico di Milano
Le moltissime espressioni di forte ostilità all’uso dei trasporti automobilistici, espresse dai decisori pubblici ad ogni livello ed in ogni occasione, sono certo “politically correct”, ma un po’ inquietanti per un economista che si occupa di politiche pubbliche: le macchine dovrebbero essere più represse di quanto sono ora (anzi secondo alcuni sarebbe meglio proibirle del tutto, ma questo non si può dire troppo esplicitamente). Il fatto che il settore automobilistico generi allo Stato qualche decina di miliardi all’anno, mentre gli utenti del trasporto pubblico paghino solo una piccola quota dei costi dei servizi che usano, imponendo di coprire la differenza a tutti gli altri cittadini con le tasse (a Milano e a Roma i sussidi ammontano a più di un milione di euro al giorno, ma nessuno lo deve sapere), sembra un aspetto totalmente irrilevante. E “costare a tutti i cittadini con le tasse” può ovviamente anche essere interpretato come “sottrarre preziose risorse ad altri servizi pubblici essenziali”. Mediamente gli utenti pagano con le tariffe il 30% dei costi che generano.
Anzi, questa situazione dovrebbe venire ulteriormente squilibrata. Infatti la nuova normativa che i promotori di molte recenti manifestazioni “antitraffico” promuovono recita: ” (…) una legge di iniziativa popolare che vincoli almeno i tre quarti delle risorse statali e locali disponibili per il settore trasporti a opere pubbliche che favoriscono lo sviluppo del trasporto collettivo e di quello individuale non motorizzato“. Questo ultimo settore, poverino, è in effetti salutare ed innocente, richiedendo pochi soldi pubblici. Ma ha degli ovvi limiti per che deve spostarsi su distanze più lunghe.
Ora, alcune cose di questa proposta di legge non sono irragionevoli, per esempio quando parlano dello squilibrio attuale tra spese per infrastrutture di lunga distanza (le stupidissime “grandi opere” berlusconiane) e infrastrutture urbane e metropolitane, dove si svolge la maggior parte del traffico e c’è la maggior parte dei problemi. Ma anche qui, la logica proposta è indifendibile: ci sono alcune infrastrutture per la lunga distanza che forse possono essere utili. Occorre decidere sempre sulla base di analisi costi-benefici comparative e “terze” (cioè non chiedendo come al solito all’oste se il vino è buono), e non lasciare al “principe” di allocare in modo arbitrario le scarse risorse pubbliche disponibili. Queste analisi oggi comprendono ovviamente anche gli aspetti ambientali, e darebbero molte sorprese proprio ai difensori ad oltranza dell’ambiente. Infatti i mezzi motorizzati non solo consumano di più in situazioni congestionate, cioè quando le strade sono insufficienti, ma emettono sostanze molto più dannose per incompleta combustione ecc.. Migliorare la viabilità congestionata, soprattutto a scale regionale, tende a generare benefici anche ambientali molto rilevanti.
E poi c’è il piccolo dettaglio che per le autostrade si richiede che le paghino i già ipertassati utenti per almeno il 50%, mentre per le ferrovie, anche per l’Alta Velocità, questa percentuale scende un po’, siamo intorno allo 0%, ma generalmente anche meno dello 0%, visto che in molti casi si richiedono soldi pubblici persino per farci andare sopra i treni. Tutto benissimo, se i soldi pubblici fossero abbondanti, o non ci fossero altre drammatiche priorità sociali. Questi lussi potremmo permetterceli.
E a proposito di socialità, come si può ignorare la ricerca del CENSIS sui pendolari, che testimonia che il 10% va in treno, il 20% in bus, e il 70% in auto, ma non solo: gli operai vanno molto di più in auto, gli impiegati e gli studenti, lavorando e studiando in aree più centrali, usano molto di più i mezzi pubblici.
Ma poi c’è la contro-argomentazione dominante a cui replicare, che cioè con i soldi pubblici si potrebbe fornire più servizi anche alla mobilità operaia, e più in generale nelle aree a bassa densità. Questa argomentazione è totalmente indifendibile: per motivi di reddito, infatti gli operai risiedono e lavorano in tanta malora (cioè generano una mobilità estremamente frammentata), che non è servibile dai trasporti collettivi, se non in piccola parte.
Tutti i modelli di simulazione europei mostrano infatti che lo spostamento modale ottenibile, con costi pubblici molto alti, sarebbe solo di pochi punti percentuali, e dunque moltissimi operai e cittadini “esterni” ai centri urbani continuerebbero a spostarsi in macchina, pagando un sacco di soldi per la benzina e stando sempre più in coda (se questa curiosa legge passasse), con risultati economici ed ambientali ancora peggiori degli attuali.
Gli impiegati, e chi ha potuto comperarsi una casa in città, sarebbero invece molto più contenti. E lo scrivente tra questi.
Si noti poi che questa politica di altissima tassazione del modo automobilistico, e di elevatissimo sussidio al trasporto pubblico, è in atto da decenni, con risultati modesti o nulli, e questo mentre curiosamente si sostiene il contrario, cioè che vi sia stata in questi anni una politica favorevole all’automobile. Forse dunque le ragioni strutturali illustrate sopra, che rendono difficile lo spostamento dell’utenza sul trasporto pubblico, hanno qualche fondo di verità.
E occorrerebbe aggiungervi considerazioni sulla rendita urbana, sul mercato del lavoro, sulla distribuzione commerciale, sul tempo libero, ma qui non è possibile dilungarsi.
Ovviamente c’è poi il problema ambientale, che è massimo nelle aree urbane dense a motivo dell’ “effetto canyon”, a parità di congestione: tanta gente esposta alle emissioni su strade relativamente strette, dove queste emissioni fanno fatica a disperdersi. Qui è ragionevole e funzionale limitare l’uso del mezzo privato (cfr. l’area C a Milano, e la “congestion charge” a Londra), ma forse è anche ragionevole limitarsi a sussidiare in modo mirato con le tariffe del trasporto pubblico solo le categorie sociali più deboli (perché sussidiare i ricchi che vivono in centro, tra cui lo scrivente?).
E infine non si può dimenticare che il traffico motorizzato è il settore inquinante che “internalizza” con le tasse più di tutti gli altri i costi ambientali che genera (secondo il principio, equo ed efficiente, noto come “polluters pay”). Non solo, ma noi sussidiamo generosamente un settore inquinantissimo e che non occupa nessuno, quello dell’agricoltura, per tutelare il nostro sacro suolo patrio (?!), e per impedire a quegli straccioni dei contadini dei paesi poveri di esportarci i loro prodotti.
Ma già, dimenticavo: cosa importa chi paga e chi riceve? Decide il principe benevolo ed onniscente….