CITTÀ RURALI
Architetto e Ph.D in Tecnica urbanistica, DSA – Dipartimento di Scienza dell’Architettura, Scuola Politecnica di Genova
SUBURBIA
Suburbia è il nome col quale, a partire dagli anni ‘60, si indicano le periferie middle-class delle grandi città nord-americane (Barnett 1988; Rusk 1993; Hayden 2003), sorte per soddisfare le aspirazioni della classe media verso una migliore qualità di vita e impostate sul modello del “recinto abitativo” (Fasciano 2003). Suburbia incarna uno stile di vita: “le moderne Metrolandia, ovvero le zone residenziali alla periferia delle grandi città cresciute di pari passo con l’ampliamento delle reti metropolitane, non sono un luogo, ma uno stato mentale” (Barnett 1988, pp. 38), anticipando il concetto di non-lieu di scuola francese (Augé, 1992).
Successivamente, a partire dagli anni ’70, suburbia diviene sinonimo di “contro-urbanizzazione”, con accezione negativa, indicando un modello di sviluppo basato sulla “frammentazione territoriale e su una enorme rete infrastrutturale che permette, ma anche impone, ore giornaliere di tortura motorizzata e che, basandosi su un tessuto urbano omogeneo da un mercato orientato verso specifici settori di reddito, crea uniformità e ripetitività e, in ultima analisi, impoverisce la qualità della vita” (Bauer 1993, pp. 67-88).
È solo a partire dagli anni ’80 che si cominciò a capire che queste nuove periferie, pur con tutte le loro negatività, “aprivano un ventaglio di opportunità sociali, di vita e di lavoro non previsto nel prevedibile mondo dei suburbia. […] Questo vento riformatore, attuato tramite l’introduzione di imposizioni quantitative nelle normative urbanistiche, inizia a scoraggiare le recinzioni, impone fenditure trasparenti verso aree panoramiche comuni, restringe l’ampiezza delle strade in modo da aumentare il verde e rallentare il traffico, disegna i parcheggi in modo da romperne l’eccessiva compattezza, articolandoli con gli edifici e l’introduzione di passeggiate pedonali, riduce la terrazzatura di terreni scoscesi adattando le costruzioni alla pendenza e creando variazioni di altezza e aperture panoramiche, rivede la tipologia e l’orientamento degli edifici, riducendo l’impatto dei portelloni dei garage e incoraggiando variazioni nel trattamento delle facciate, nel tentativo di relazionare meglio le case alla strada. Infine, si impone di aumentare la superficie destinata alle zone verdi comuni, dandole uno status simile ai parcheggi e alle costruzioni” (Fasciano 2003). Tuttavia, il fattore principale di disarticolazione di suburbia permane: la residenza, il lavoro e il commercio rimanevano separati e uniti solo dalla soggezione comune verso l’automobile perché zonizzazioni e finanziamenti privati si erano evoluti perpetuando questa separazione.
Questo fattore viene aggredito solo negli anni ’90, con il modello del “pedestrian pocket” elaborato dal New Urbanism. Esso combina edifici per uffici, centri di negozi e residenze, con una combinazione di zonificazioni agricole e di diritto allo sviluppo edilizio, in una visione d’insieme in cui l’automobile è sempre presente, come nel prototipo suburbano tradizionale, ma l’individuo tende ad esserne meno dipendente, poiché si impone lo sviluppo di un sistema ferroviario leggero che tende a limitare la crescita edilizia in un raggio di un quarto di miglio, quale distanza percorribile agevolmente a piedi dalle fermate.
Il termine è fortemente correlato, tra gli altri, con esurbio, post-suburbia e privatopia.
POST-SUBURBIA
Post-suburbia è un termine che indica la trasformazione del suburbia in una nuova realtà urbana complessa. La post-suburbia non è un semplice sobborgo destinato esclusivamente all’uso residenziale con sporadiche aggiunte di servizi di base, ma ricomprende altri termini, dalla edge city alla exopolis (Teaford 1997).
Secondo alcuni autori, le post-suburbia non sono un fenomeno nuovo, ma una fase di un processo evolutivo iniziato nelle periferie statunitensi degli anni ’20 (Hayden 2003), a cui si aggiungono le problematiche legate alla gestione del fenomeno, quali la frammentazione sociale, l’isolamento individuale e la segregazione etnica. Le prime critiche riguardanti l’assenza di centralità riconoscibili possono risalire all’inizio degli anni ’60 (Jacobs 1961), mentre la comparsa delle tematiche ambientali legate al modello suburbano appare già nella prima metà degli anni ’70.
In particolare, i fattori critici legati all’isolamento sociale accumunano questo termine alla voce privatopia.
PERIURBANO E PERIURBANIZZAZIONE
La periurbanizzazione è il processo di creazione di nuovi insediamenti urbani più o meno vicini alle grandi città o a grandi vie di comunicazione, con una morfologia di tipo diffuso, “a struttura lasca, di quasi-città o tendente a trasformarsi in città” (Dézert et al. 1991, p. 25). In quest’ottica, la periurbanizzazione sembra posizionarsi a metà strada tra gli urban fields, il tipico sprawl anglosassone, e la città diffusa. Molto spesso è accumunato e confuso con il termine rururbanizzazione.
Secondo alcuni autori il periurbano è l’attuale generazione della città moderna, morfologicamente composta da varie forme insediative slegate: aeroporti, centri commerciali, quartieri residenziali, infrastrutture per il tempo libero, ma anche semplici agglutinazioni di diverso tipo intorno a strade, autostrade, caselli autostradali, ferrovie (Koolhaas et al. 2000). In questa realtà, gli stabilimenti industriali, benché non siano scomparsi, hanno perso l’originaria funzione di ordinamento del territorio che avevano un tempo (Koolhaas 2006).
Persiste una relativa indeterminatezza del concetto: da una parte, la periurbanizzazione sarebbe qualcosa in più di un nuovo modello di urbanizzazione; dall’altra, stando alle definizioni più diffuse, sembra che si tratti semplicemente della versione francese del suburbia nord-americano. Periurbano si confonde con il termine mitage e con quello, ancora più ambiguo, di mixitè, che rimanda a una strategia progettuale dove relazione tra vita pubblica, sociale e lavorativa e quella privata acquistano nuove conformazioni, indipendenti dal luogo e legate piuttosto ai nuovi modi di usare lo spazio alla scala urbana o architettonica (Takahashi 2007).
In generale questo termine sembra assumere un connotato negativo. Nella pratica urbanistica, infine, non si ritrova una definizione chiara ed univoca del termine, peraltro molto abusato, di “area periurbana”, atto a fornire precise indicazioni e descrizioni mirate alla perimetrazione di tali zone.
RURURBANO E RURURBANIZZAZIONE
È un termine utilizzato a partire dagli anni ‘70 dalla scuola dei geografi francesi per indicare il processo di urbanizzazione degli spazi rurali europei (Bauer, Roux 1976; Bauer 1993; Dézert et al. 1991). Il termine descrive sia il processo di urbanizzazione delle aree ai bordi delle metropoli, collegandosi quindi a suburbia, sia di località e piccoli centri rurali che, grazie alla loro prossimità alle città di grandi o medie dimensioni e alla presenza di vie di comunicazione, presentano le stesse condizioni e possibilità di partecipare al processo di diffusione urbana (Bauer 1993).
Secondo questa corrente di studio, il processo di diffusione urbana, quando raggiunge gli spazi aperti, porta alla “formazione di una terza corona urbana, al di là della città compatta e della banlieu, detta corona rururbana, che subisce l’aumento demografico determinato da una nuova popolazione di origine prevalentemente cittadina e caratterizzata dall’esistenza di uno spazio dominante di natura non urbanizzata, a differenza della banlieu contigua alla città-madre compatta” (Bauer, Roux 1976, p. 7).
Alcuni autori considerano il termine come una fase del processo storico di suburbanizzazione – periurbanizzazione – rururbanizzazione (Nel.lo 2001). Altre letture lo interpretano come il declino della complessità del paesaggio rurale che si riduce a un monouso residenziale, seppure di qualità, in cui si stabiliscono gruppi che godono di un certo benessere economico.
Il concetto è strettamente connesso a quello di periurbanizzazione, tanto da confondersi con quest’ultimo in neologismi quali “rururbanizzazione periurbana” (Dézert et al. 1991).
URBAN VILLAGE
Il termine definisce gli insediamenti dove si realizza, formalmente e architettonicamente, la sintesi tra una piccola comunità e le sue radici, ma con attività e modi di vivere urbani. L’elemento propulsore degli urban villages “è costituito dall’accessibilità, dalle nuove tecnologie e dal decentramento dei luoghi di produzione e di consumo” (Kotkin 2000, p. 99).
Il concetto risale all’inizio degli anni ‘60, quando gli studi sull’organizzazione dei vari ghetti nati in seguito all’immigrazione nelle suburbia statunitensi, portarono alcuni autori a ipotizzare l’esistenza di organizzazioni spaziali frammentarie, derivanti dalla polverizzazione delle grandi città in “villaggi urbani” (Gans 1962). Da allora il concetto ha subito varie trasmutazioni di senso, prima assumendo connotazioni ambientaliste o molto vicine alla natura e alla vita rurale, secondo visioni associabili a mode new age; poi diventando il termine definitorio per tutte quelle nuove enclaves sorte con l’affermarsi della corrente del New Urbanism e pensate in funzione dell’emigrazione dalle grandi città.
Attualmente il termine sembra passato a definire tutte quelle piccole realtà insediative più o meno rurali che, in seguito a nuovi flussi di abitanti di matrice “urbana”, stanno creando nuove urbanità contaminate con usi agricoli residui.
Bibliografia
Augé, M. (1992) Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité. Paris: Édition Le Seuil.
Barnett, R. (1988) The crisis of America’s cities. New York: M.G. Sharpe.
Bauer, I. (1993) Les suburbia, sommes-nous concernnes? In Urbanisme, 1, pp. 67-88.
Bauer, G., Roux, J.M. (1976) La rurbanisation ou la ville éparpillée. Paris: Édition Le Seuil.
Dézert, B., Metton, A., Steinberg, J. (dir.) (1991) La périurbanisation en France. Paris: CDU-SEDES.
Fasciano, M. (2003) Verso una nuova suburbia. http://www.americansuburbia.htm.
Gans, H. (1962) Urban villages. Group and class in the life of italian-americans. New York: The Free Press of Glenese.
Hayden, D. (2003) Building suburbia. Green fields and urban growth: 1820 – 2000. New York: Pantheon Books.
Jacobs, J. (1961) The death and life of great american cities. New York: Random House.
Koolhaas, R. (2006) Junkspace. Per un ripensamento radicale dello spazio urbano. Macerata: Quodlibet.
Koolhaas, R., Boeri, S., Kwinter, S., Tazi, N., Ulrich Obrist, H. (eds.) (2000) Mutations. Barcellona: Actar.
Kotkin, J. (2000) The new geography. How the digital revolution is reshaping the american landscape. New York: Random House.
Takahashi, M. (2007) Japan, The New Mix: Architecture, Interiors and More. Mulgrave: The Images Publishing.
Nel.lo, O. (2001) Ciutat de ciutat. Reflexions sobre el procés d’urbanitzaciò a Catalunya. Barcelona: Empùries.
Rusk, D. (1993) Ghost towns in a sprawl-land. In The Hartford Courant, 25 june.
Teaford, J.C.(1997) Post-Suburbia. Government and politics in the edge cities. Baltimore: Johns Hopkins University Press.