Paesaggi di Raccordo. Nuove trame di spazi aperti tra Anagnina e Torre Spaccata
laureata in Progettazione Urbana, Dipartimento di Architettura, Roma Tre
Da Icaro a Dedalo: un metodo di lavoro
Può il progetto degli spazi aperti rispondere alle discontinuità materiali e immateriali della metropoli contemporanea? Le tradizionali tipologie di luoghi restano adeguate per disegnare nuove trame urbane a partire dai frammenti esistenti?
Queste le domande su cui ho scelto di ragionare al termine del Laboratorio di Laurea1— dedicato all’esplorazione progettuale della Città del Grande Raccordo Anulare, a Roma — assumendo una doppia focale: quella che permette di avere allo stesso tempo lo sguardo di Icaro e di Dedalo, di tenere insieme la grande e la piccola scala, la distanza e la prossimità, la metropoli e il giardino, giacché “tra la città e il giardino c’è una relazione complessa, ricca di complicità, visibile a tutte le scale” (Batlle, 2011).
Questo atteggiamento interscalare e interdisciplinare accomuna diversi progettisti contemporanei e, tra gli altri, anche alcuni che mi hanno particolarmente accompagnata in questo percorso. Enric Batlle, ad esempio, sostiene che questa doppia lettura, tra il dettaglio e il globale, sia propria dei temi del paesaggio; mentre Michel Corajoud suggerisce ai suoi studenti di mettere in relazione gli elementi del paesaggio sempre attraversando le scale.
Come prima azione, mantenendo questo doppio sguardo, è utile redigere un inventario, con cui leggere lo ‘strato libero’ metropolitano. Come direbbe Perec, “innanzitutto, fare l’inventario di ciò che si vede” e quindi catalogare, associare o rimarcare le differenze, dare a ogni cosa il giusto nome; ma anche guardare allo “spazio inventario, spazio inventato”, elaborare nuove categorie per descrivere la realtà.
Roma città-territorio
“Cos’è Roma? Qual è Roma? Dove finisce e dove comincia Roma?” (Pasolini, 1958)
Il fronte della città, come direbbe Pasolini, a Roma non è il limite esterno della città, ma le sta dentro ed è fatto di interruzioni e discontinuità, tali che la città cresce attraverso il progressivo assorbimento di pezzi nuovi e autonomi. Il territorio romano è discontinuo ma unitario e vi trovano posto molteplici forme di abitare e infiniti itinerari possibili.
In quest’ottica, è opportuno abbandonare la visione monocentrica della città, in favore di una immagine policentrica, fatta di nuclei separati, tenuti insieme dall’orografia e dall’idrografia, oltre che dal sistema infrastrutturale.
La città policentrica è stata spesso descritta come un arcipelago: le isole corrispondono ai nuclei edificati, mentre il mare rappresenta lo spazio aperto, infrastrutturato e non. Nel caso di Roma, però, è doveroso fare alcune precisazioni. Prima di tutto, tanto l’Agro e il reticolo idrologico quanto la rete infrastrutturale assumono un ruolo strutturante e non si possono considerare solo come uno sfondo. In secondo luogo, è opportuno segnalare come le categorie tradizionali di lettura della città consolidata non siano più utili a descrivere né il ‘mare’ né le ‘isole’. Infine, va evidenziato come tra ‘mare’ e ‘isole’ spesso non si inneschi alcuna relazione di reciprocità ma, semmai, solo di necessità: soprattutto, necessità di attraversamento o di accesso a servizi specifici.
Proprio nelle relazioni, invece, Giancarlo De Carlo, nel primo testo che raccoglie alcuni contributi allo studio della città territorio, individuava il fondamento di quella che al tempo veniva chiamata, in una dichiarata ambiguità semantica, città-regione: “La città-regione corrisponde a un sistema legato da relazioni dinamiche”.
La Città del Grande Raccordo Anulare
La città del Grande Raccordo Anulare, invece, è descritta, nell’omonimo libro di Marco Pietrolucci, come “quella parte di città di spessore e qualità variabile – che intrattiene con il manufatto stradale GRA relazioni multiple spaziali, economiche e d’uso – tali comunque da definire sistemi di identità dove la presenza dell’infrastruttura è elemento caratterizzante. (…) La città del GRA è oggi un complesso di centralità non progettate ma che esistono di fatto in virtù della risorsa infrastrutturale, dell’apertura del territorio alle reti, dell’appetibilità delle aree un tempo marginali che oggi risultano sempre più centrali”.
Se si intende Roma come una città-territorio, il GRA vi occupa una posizione baricentrica ma, diversamente da quanto potrebbe apparire, non è linea di demarcazione tra il dentro e il fuori, tra ciò che è città e ciò che non lo è; piuttosto, come nota Pietrolucci, il GRA appare un elemento magnetico capace di attrarre e generare attività produttive, spazi commerciali, infrastrutture, residenze.
Dunque l’ipotesi, secondo Pietrolucci, “è che i frammenti di città disposti lungo il GRA costituiscano nel loro insieme una struttura urbana in formazione; complessa, viva e con caratteri distinti da quelli della città consolidata”.
Dati, quindi, i concetti di città-territorio e di Città del GRA, si hanno alcuni elementi per proseguire il ragionamento sulle relazioni tra nucleo urbano e spazi aperti.
Il giardino della metropoli
Nella Città del GRA, fatta di frammenti, è determinante ciò che c’è tra le parti.
Verde, ‘vuoto’ rispetto al ‘pieno’, supporto su cui poggiano i diversi elementi, ‘mare’ tra le ‘isole’ dell’arcipelago: comunque lo si voglia chiamare, il layer degli spazi aperti non può più essere descritto nei termini del rapporto città-campagna o centro-periferia giacché rappresenta l’unico elemento capace di insinuarsi ovunque garantendo continuità; in grado di costruire la nuova geografia di una città policentrica.
Ma come? Come selezionare gli elementi rilevanti? A quale scala ragionare? A quali tipologie fare riferimento?
Una risposta interessante è data da Batlle nel libro-manifesto El jardin de la metropoliin cui propone un modello per lo spazio aperto nella città diffusa. La chiave si trova già nel titolo, con cui l’autore identifica “tutti gli spazi aperti della città, (…) il prodotto dell’accumulazione di ogni spazio libero possibile”.
Trovo che l’intuizione di Batlle sia particolarmente utile se applicata a Roma, poiché contiene quella giusta dose di ambivalenza citata all’inizio, capace di tenere insieme la dimensione domestica e decorativa, a cui allude la parola giardino, con quella strategica richiesta dal termine metropoli.
Il ragionamento proposto sembra utile anche per la costruzione di un lessico originale, necessario, a mio avviso, a un approccio nuovo ai temi della città.
Giardino della metropoli, per Batlle, è un’espressione che condensa insieme i concetti di:
- giardino“come spazio legato a valori simbolici e sociali di ciascuna epoca”, ma anche come “parte di natura addomesticata”;
- parco urbano, ossia “il risultato della contraddizione evidente tra un’immagine idilliaca e un uso urbano che è sempre più intenso e sofisticato”;
- sistema“di spazi aperti capace di risolvere le disfunzioni evidenti tra la nuova città diffusa ed i suoi spazi liberi”;
- ibrido, cioè un sistema di spazi “che possiamo illustrare con due modelli distinti: quello del fenomeno dei paesaggi polivalenti e quello delle strutture complesse”.
Paesaggi di raccordo
Paesaggi polivalenti e strutture complesse che, nel modello di città analizzato finora, giocano un ruolo chiave nella necessaria ridefinizione dei rapporti tra le parti: costituiscono un sistema eterogeneo e capillare in grado, forse, di rispondere alla domanda di trasformazione degli spazi ‘vuoti’ in ‘specificità’.
‘Specificità’ in questo contesto non vuol dire specializzare o iper-funzionalizzare; ma, al contrario, riconoscere e attivare luoghi assopiti e latenti, preferire spazi ibridi, assecondare gli accidenti di un luogo trasformandoli nei suoi connotati più riconoscibili.
Costruire, quindi, categorie nuove per non privare la città di luoghi preziosi solo perché non li si riconosce; valorizzare quelle situazioni che “hanno ampliato le categorie possibili di spazi urbani generando luoghi pubblici prima inimmaginabili” (Batlle, 2013).
A Roma questi luoghi pubblici inimmaginabili sono proprio i Paesaggi di Raccordo, quelli della Città del GRA, residui, aree dal destino immobiliare interrotto, aree messe in standby perché frutto di calcoli relativi solo agli standard urbanistici, aree di rispetto delle infrastrutture; e allo stesso tempo Paesaggi che si fanno ‘raccordo’, intermediari, essi stessi tra la scala individuale e quella territoriale, tra l’edificato e l’infrastruttura, tra una funzione e l’altra, tra il domestico e il collettivo.
“Trovare nuovi significati per gli spazi liberi metropolitani ci può permettere di sviluppare il progetto della città a partire da un nuovo modello di continuità. (…) questo nuovo spazio libero può consentire la coesione, aiutare a rendere comprensibile, essere la nuova strategia che definisce la forma della metropoli” (Batlle, 2013).
Paesaggi di Raccordo come trame ri-strutturanti della Città del GRA.
Paesaggi attivati non eliminando l’esistente, ma sfruttando le caratteristiche essenziali di ciò che c’è al fine di potenziarlo e trasformarlo.
Paesaggi ibridi i cui valori da preservare, dal punto di vista paesaggistico ma soprattutto urbanistico, sono la continuità e la capacità di insinuarsi in trame esistenti già definite.
Paesaggi che si raccordano con la città in un sistema disposto ad accogliere nuove relazioni.
Paesaggi il cui progetto può rispondere alle discontinuità materiali e immateriali che caratterizzano la metropoli contemporanea.
1 Tesi di laurea discussa nell’a.a. 2016/2017, relatrice Annalisa Metta
Bibliografia
Batlle E. 2011, El jardin de la metropoli, Editorial Gustavo Gili, Barcellona
Batlle E. 2013, “Giardini periferici?”, Archi, vol.2/2013
Perec G. 1989, Specie di spazi, Bollati Boringhieri, Torino
Pasolini P.P. 1958, “Un viaggio per Roma e dintorni”, Vie Nuove24/5/ 1958
Pietrolucci M. 2012, La città del Grande Raccordo Anulare, Gangemi Editore, Roma
AA.VV., 1964, La città territorio. Un esperimento didattico sul Centro direzionale di Centocelle, Leonardo da Vinci Editrice, Bari
Immagini
copertina: Drizzagno di Spinaceto, Giulia Marino, 2017.
fig.1, 2, 3: Parco de’ Medici, Giulia Marino, 2017.