ISSN 1973-9702

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Wildscape urbani: un rapporto quotidiano, identitario e immaginario

di Giulia Pandolfi

PhD in Paesaggi della Città Contemporanea, Dipartimento di Architettura, Roma Tre

 

Cosa è veramente natura? Non è una madre prolifica che ci ha generato, ma una creazione del nostro cervello; è nata dalla nostra mente. Le cose esistono perchè noi le vediamo, e la sensibilità come pure la forma della nostra visione dipendono dalle arti che ci influenzano.[1]

L’individuo urbanocontemporaneo ha difficoltàa mettere in relazione le proprie immagini mentali di natura con le sue reali manifestazioni. Lucius Burckardt [2]dimostra che la natura èpiùo meno invisibile ai nostri occhi. Essa viene riconosciuta solo se si presenta in due forme distinte: il giardino – natura modellata – e la foresta – natura incontaminata, diventatedelle icone culturali, le quali hanno prodotto immagini ben definite nella nostra mente.Però, se da un lato la forma mentis più diffusa, che permane fino ad oggi, utilizza queste corrispondenze, la progettazione o alcune tendenze progettuali degli spazi aperti urbani e periurbani tendono a superare questi confini. Pertanto, se inpassato vi erano abbinamenti concettuali sufficientemente chiari:la natura controllata del giardino / supremazia della ragione; albero singolo / elemento simbolico e la natura selvaggia della foresta / archetipo dell’inconscio, oggi non vi èpiùun riconoscimento immediato di queste connessioni simboliche, ma esse rimangono in noi come ricordi latenti, che non rendono né facile né immediato ‘vedere’ nuovi spazi verdi. Parlando degli spazi pubblici urbani odierni, Claudia Mattogno sostiene:

non tutti i nuovi spazi sono facilmente identificabili e molti di essi, sebbene giàdavanti ai nostri occhi, risultano ancora invisibili perchéi riferimenti che adottiamo continuano ad attingere, per abitudine, per pigrizia, per nostalgia, a forme e immagini consuete, sedimentate dal tempo e dalla tradizione.” [3]

 

Pertanto, la sfida che ci si presenta consiste nel decostruire tali radicate immagini mentali per ottenere un nuovo rapporto diretto con le reali manifestazioni della naturain ambito urbano e non. Vi sono dunque varie fasi da definire. Un primo passo necessario èquello di ricreare un dialogo diretto tra natura e abitante urbano, risvegliando gli accordi profondi dell’animo, accordi che si sono andati perdendo negli ultimi due secoli. Di conseguenza, si tratta di avviare un processo rieducativo e culturale complesso e dal percorso accidentato. Basandoci sulla teoria di Burckardt, ad esempio, per far sì che si riacquisisca una familiaritàcon la natura, prima di tutto essa deve aver modo di essere notata e, per far ciò, si deve inizialmente decidere da quale delle due immagini mentali – natura modellata o natura incontaminata – si debba partire. Le recenti tendenze prediligono la seconda,poichè quest’ultima si muove maggiormente lungo filoni ecologici e ambientali, armonizzandosi anche con le prevalenti analisi socio-psicologiche che descrivono le caratteristiche dell’uomo moderno e alcuni suoi bisogni di base.[4]Entrambi gli approcci mettono in luce come si stia formando un rinnovato desiderio di wilderness.

Tuttavia, sebbene la predilezione per una natura selvaggia, rispetto a quella controllata, sia sostanzialmente acquisita[5], bisogna fare attenzione a non rincorrere e ricreare unicamente il paesaggio immaginario, spesso estremamente artificiale, ma partire da quest’ultimo,per poi lavorare attentamente sulla pausa che segue. È cruciale infattisoffermarsi con i tempi giusti sulle impressioni successive, sulla ridefinizione di una natura “veritiera” che muta nel tempo e che sia conosciuta nelle sue fasi, colorazioni e mutazioni, innescando cosìun processo di osservazione e conoscenza, progettando esperienze che ridefiniscano gli immaginari, affinchéqueste suggestioni conducano a un nuovo modo di vedere e ricordare la natura in città. Il ricordo, la memoria della sensazione provata e la suggestione sono gli elementi che costituiscono la formazione dell’immaginario, ed èproprio dalla riproposizione di un’immagine di natura corretta, ovvero costituita dai suoi processi ecologici e temporali (non artificiali), che si deve ripartire.

Per tutto ciò possiamo affermare che questo rinnovato desiderio – percezione di wildernesssia l’espediente di cui eravamo alla ricerca, poichèsoddisfa gli aspetti descritti: l’essere paesaggio in un primo momento riconducibile alla foresta o a una natura incontaminata, sovrapponendo così quello che il nostro immaginario si aspetta di trovare a quello che vede, per poi appropriarsene su nuove basi.[6]Attraverso questa riappropriazione, è importante recuperare anche i ritmi e tempi lenti della natura rispetto a quelli, sempre piùfrenetici, della città, attenuando cosìi problemi psichici delnostro tempo, come ansia e stress.[7]È proprio su tali aspetti che l’architettura del paesaggio può divenire una disciplina guida, vale a dire nel processo di costruzione progettuale e creativa[8]di tali wildscape. Questi ultimi devonoprendere forma nei luoghi ordinari della vita urbana e diventare ‘incantati’ed emozionanti lídove lo spazio lo renda possibile. Questi spazi wilddella cittàfin qui descritti si devono differenziare da un’accezione di wilderness che può diventare negativa, come quella descritta da William Cronon in vari suoi lavori, secondo i qualispesso la riproposizione di tale natura definita come autentica, èdel tutto innaturale e costituisce piùuna restituzione dell’immagine ideale di natura, che un vero e proprio interesse per l’osservazione dei processi che la costituiscono.

 

Il paesaggista Dieter Kienast definiscecon queste parole lo scopo del suo lavoro:

‘Il nostro lavoro consiste nel trovare la Natura in città, il cui colore non èsolo il verde, ma anche il grigio. Ne fanno parte alberi, siepi, prati, ma anche il manto stradale, le piazze, i canali artificiali, i muri, gli assi di penetrazione, il centro e la periferia.’[9]

Questa affermazione definisce il nuovo concetto di come intendere la Natura in città, poiché si slega completamente dalle icone culturali precedentemente descritte, liberandoci da molti stereotipi e invitandoci a riflettere su un’idea di wilderness costituita da nuovi binomi: cultura-natura, formale-informale, artificiale-naturale. Per tutto ciò l’architettura del paesaggio si pone come una nuova opportunità nel lavorare con la natura urbana. Si dovrebbero promuovere progetti che mettano in risalto i diversi livelli dell’articolazione spaziale, creare passeggiate urbane che invitino l’occhio del fruitore a raggiungere orizzonti lontani attraverso la costruzione di fondali e quinte che mettano in continuitàla struttura ‘naturale’ con quella ‘artificiale’, effettuando la progressiva dissoluzione dei confini reciproci.Ètramite un sistema di tracce che parta dal vissuto urbano e penetri attraverso percorsi esperenziali nelle zone di bordo, spingendosi poi fin dentro luoghi eccezionali, suggestivi, ma anche marginali o apparentemente minori, che l’uomo si rende partecipe e osservatore di tali realtà, innescando così un processo mentale che progressivamente diviene identitario, ovvero di riconoscimento di sé nella natura.Come osserva Pizzetti:

Si potrebbe quasi dire […] che il paesaggio è l’interfaccia tra il territorio come si manifesta in tutti i suoi mutamenti e nelle sue trasformazioni e il nostro modo di recepirlo[10]

 

Note

[1]Wilde O., La decadenza della menzogna e altri saggi, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 2000.

[2] Burckardt L., Design is Invisible, Wien/New York 2012.

[3]Claudia Mattogno, Idee di spazio, lo spazio nelle idee. Metropoli contemporanee e spazi pubblici, incollana ‘Urbanistica’, Franco Angeli 2005, pp.23.

[4]Fairbrother N. New lives, new landscapes, 2ndedition, Pelican Book, Ringwood 1972, (p.181) (p.199).

[5]Nello specifico si prende a riferimento la scuola francese e in particolare le teorie di: Michel Corajoud; Michel Desvigne; Pierre Donadieu e infine Gilles Clément.

[6]Cfr. Pandolfi G., Foresta e Città,Breve storia della foresta e del suo rapporto con la città, in UrbanisticaTre, sezione Focus, Roma 2018.

[7]Kipar A.,Il progetto del paesaggio contemporaneo,in OPEN Papers – scritti sul Paesaggio, Edizioni ETS, (a cura di), Ghio F., Metta A., e Montuori L., Pisa 2012, pp.146-151.

[8]Corner J., Ecology and landscape as Agents of Creativity, in Ecological Design Planning (a cura di) Thomson G. e Steiner F.,  Hoboken, NJ: Wiley, 1996.

[9]Dieter Kienast, Un decalogo (A Set of Rules), in ‘La terra incolta/Uncultivated Land, Lotus 87, Electa 1995, pp. 63-65.

[10]Pizzetti I., Luoghi della coscienza paesaggistica, in Il disegno del paesaggio italiano, Casabella 575-576, 1991.

 

Bibliografia

Burckardt L. 2012, Design is Invisible, Wien/New York.

Clément G. 2016, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, VII — Evoluzione, Macerata.

Cronon W. 1995, Uncommon Ground: Toward Reinventing Nature, William Cronon, Editor W.W. Norton & Company,  New York.

Kienast D. 1999, Intervista Cultivating discontinuity, in Weilacher Udo, Between landscape architecture and land art, Birkhauser, Basel.

Meier C.A. 1984, Wilderness and the Search for the soul of Modern Man, Lapis Press.

Roger A. 2009, Breve trattato sul paesaggio, Sellerio Editore, Palermo.

Rokeach M. 1973, The Nature of Human Values, John Wiley, New York.

Trieb M. 1999, Nature Recalled, in “Recovering landscape”, Part one: Reclaiming place and time, di James Corner & A Balfour, Princeton Archtectural Press.

Weilacher U. 2012, L’immagine della natura in città, in OPEN Papers – scritti sul Paesaggio, (a cura di) Ghio F., Metta A. e Montuori L., Edizioni ETS, Pisa 2012.

 

Immagini

copertina: Edward Burne-Jones, La principessa addormentata, Opera tratta dalla serie ‘La Bella addormentata nel bosco’, 1872.

fig.1: Henri Rousseau, Donna che cammina nella foresta(olio su tela, 99,9 x 80,7 cm) Lower Merion, Barnes Foundation, 1905

fig.2: Dulbecco Gian Paolo,Di quando il 19 si perse nella foresta amazzonica, (olio su tavola 23 x 23) Palermo, 2012