ISSN 1973-9702

copertina_Il lago delle oche selvatiche

La Cina al Cinema

di Ghisi Grütter

Architetto e Professore associato di disegno, Dipartimento di Architettura, Roma Tre

 

Molti film cinesi recenti hanno iniziato a proporre rappresentazioni di realtà contadine o operaie. In particolare due film del 2015 Fuochi d’artificio in pieno giorno di Yinan Diao e Al di là delle montagne di Jia Zhang-ke mostrano i luoghi operai della Cina, da un lato i quartieri/città nati attorno alle miniere di carbone nel poco noto nord della Cina, nell’altro la città di Fenyang, una piccola città di provincia nello Shanxi. Un altro tema portato alla ribalta è il rapporto tra oriente e occidente, considerato sia come modello architettonico e urbano, sia come modello di vita. Così ad esempio Farewell di Lulu Wang del 2019 che sembra contrapporre la tradizione al “progresso”, e così anche lo stesso Al di là delle montagne dove viene criticato il modello consumistico di occidentalizzazione a favore delle proprie identità culturali, ancora molto importanti nella cultura cinese. In questi film la città è quasi sempre il set preferito, con il suo degrado e i suoi “non luoghi”, anche per demitizzare un processo migratorio nei confronti delle metropoli.

Farewell è costruito appositamente per sottolineare la differenza tra l’individualismo occidentale verso l’appartenenza comunitaria orientale. La regista cinese Lulu Wang, naturalizzata statunitense, ha voluto raccontare della propria storia, rappresentando i molteplici rapporti tra i componenti di una famiglia cinese, nonostante la diaspora di molti membri. Infatti Haibin, uno dei figli, vive in Giappone, mentre Haiyan negli Stati Uniti, fa il traduttore e vive con sua moglie a New York. Anche sua figlia Billie è a Manhattan quando vengono a sapere che l’anziana madre di lui rimasta a vivere a Changchun, è malata gravemente: ha un cancro al polmone e le rimangono pochi mesi di vita.

Con il pretesto di partecipare al matrimonio del nipote tornano in Cina e anche Billie, molto legata alla nonna paterna perché aveva vissuto con lei parecchi mesi prima di lasciare la Cina. Billie è anche reduce da una grande delusione perché le è stata appena negata una borsa di studio della Fondazione Guggenheim. Lì in Cina si ricostituisce la famiglia Wang dopo più di vent’anni; il fratello è rientrato dal Giappone proprio per celebrare il matrimonio. La madre vive con la sorella che si è sacrificata tutti questi anni per starle vicina, una badante e uno strano anziano tuttofare, ma non sa nulla della propria malattia. Alla maniera cinese, non le viene detto la natura delle macchie scure nella radiografia ai polmoni. Le hanno detto che erano macchie benigne: una bugia buona. Billie, cresciuta in Occidente, non riesce ad accettarlo: negli Stati Uniti, infatti, falsificare i risultati di un’analisi è commettere reato. Come le spiega lo zio nella filosofia orientale l’individuo appartiene al gruppo, al sociale, pertanto è la famiglia a farsi carico di tutta la preoccupazione, senza comunicarlo alla persona malata.

Non è frequente vedere sullo schermo una realtà urbana che non sia Pechino e con un ottimo servizio sanitario veloce ed efficiente. Inusuale è la rappresentazione della vita di una famiglia cinese middle class. Changchun è una città di sette milioni e mezzo di abitanti, situata nel nord-est della Cina e capitale della provincia dello Jilin. Si trova in una vasta pianura, considerata la “Città della primavera del paese settentrionale” è una meta turistica ambita.

Al di là delle montagne è un film di Jia Zhang-ke del 2015 che vuole fare riflettere sulla progressiva occidentalizzazione della Cina e sui suoi cambiamenti sociali. Il film abbraccia un quarto di secolo in tre scenari, sottolineati anche da un diverso formato, che vanno dal 1999 e passando per il 2014 arrivano al 2025.

Siamo a Fenyang – che vuole dire “a ovest delle montagne” -, una piccola città di provincia dello Shanxi nell’ampia valle del fiume Fen, che ha una ottima reputazione per la produzione di Fenjiu, il famoso liquore cinese. Fenyang è anche la città natale del regista che ci ha già ambientato altri film.

La prima parte narra la storia di tre amici: Tao, giovane, carina e vitale, Liangzi un operaio gentile e sensibile e Zhang di origini borghesi, molto attaccato ai soldi. Il ricco Zhang sposerà Tao, mentre Liangzi se ne andrà lasciando la città-cantiere di Fenyang. Il processo di emancipazione continua e la seconda parte mostra Tao che vive da sola, gestisce una stazione di servizio ed è divorziata. Il figlio Dollar è stato affidato al padre e tornerà da lei solo per assistere ai funerali del nonno. Tao nota che il bambino è molto preso dai simboli consumisti e dal modo sfarzoso di vivere che il padre gli offre in Australia. Nel terzo sipario del film, Dollar cresciuto si mostra insoddisfatto; è un giovane sensibile che intreccia una strana storia con la sua maestra di cinese e, avendo nostalgia della madre, programma di tornare da lei. Tao, in una sorta di premonizione di attesa, sembra sentire il ritorno del figlio per cui si mette a cucinare tanti ravioli e a riprendere, dopo tanti anni tristi, la danza che faceva da ragazza. Le bellissime immagini sono variegate e fanno apprezzare la contrapposizione tra lo sconfinato panorama australiano con la sua natura abbagliante, e le condizioni povere, precarie e malsane delle abitazioni dei lavoratori nelle fabbriche di Fenyang.

Il film può essere considerato un monito nei confronti del capitalismo: Zhang sarà indagato per truffa e Dollar sarà infelice nel suo mondo di ricchi senza valori. Sembrerebbe che i luoghi, le tradizioni e le proprie identità culturali siano ancora molto importanti.

Un terzo film è Il lago delle oche selvatiche di Yi’nan Diao del 2019, della cosiddetta “sesta generazione” di cineasti. Questo crime movie mostra l’altra Cina: quella delle fabbriche, della prostituzione e delle bande criminali, piccoli o grandi che siano, dei “non-luoghi” di una zona urbana periferica. Tra le famiglie di malviventi in conflitto tra loro, vige l’antica legge del jiang hu e cioè il senso dell’onore che caratterizza le contese mafiose.

Attraverso lo sguardo di una “signorina” del lago Yi’nan Diao ci fa addentrare in un’umanità violenta, in un sottobosco delinquenziale. La zona della vicenda è Wuhan, città diventata tristemente famosa, esteso capoluogo della provincia di Hubei con 11 milioni di abitanti, un polo commerciale attraversato dallo Yangtze River che comprende numerosi laghi e parchi. L’area rappresentata nel film è meno sviluppata e presenta ancora delle enclaves rurali. Sarà presto una zona di espansione urbana così come mostrano dei giganteschi billboards.

Zhou Zenong è un gangster uscito da poco dalla galera, ferito e in fuga perché ha ucciso accidentalmente un poliziotto scambiato per un membro del clan rivale di motociclisti. Incontra Liu, una femme fatale inviata in sostituzione della moglie. Braccati dalla polizia i due raccontano le reciproche storie di violenze in flash back e Zhou vorrebbe che Liu lo denunciasse per far incassare alla moglie la cospicua taglia di 300.000 yuan. Nasce così una strana storia intrecciata di sospetto e di attrazione.

Molte sono le scene violente – dalle decapitazioni agli ombrelli usati al posto dei coltelli – alla cui frequenza il cinema orientale ci ha abituato. Il clima è di un addestramento permanente alla brutalità e al tradimento spietato. Le mogli devono tradire i mariti, gli amici i vecchi compagni, e così via. Alla fine sarà solo la prostituta a mantenere la parola data.

Il lago delle oche selvatiche offre splendide inquadrature e intere sequenze costruite sulle ombre, riprende i corpi sudati che s’incontrano, poi il sangue, la pioggia, lo sperma, il lago. I movimenti di macchina sono lenti e si contrappongono a un montaggio serrato e incalzante.

Il regista pone spesso le sue figure in spazi vuoti illuminati da una luce cruda per accrescere l’angoscioso senso di solitudine e d’isolamento che pervade alcuni locali anonimi. Talvolta sono gli spazi collettivi come i ristoranti, la pista del ballo, il luna park con la sua ruota, e gli alberghi spesso semideserti. Tali ambienti comunicano squallore e depressione, ed evocano quadri del pittore statunitense Edward Hopper, di cui è stato detto che sapeva “dipingere il silenzio”. Molti suoi soggetti sono infatti proprio i luoghi urbani desolati o gli interni con gli intonaci scrostati. 

 

Didascalie Immagini

Copertina: Fotogramma tratto da Il lago delle oche selvatiche del 2019

Fig. 1: Fotogramma tratto dal film Farewell del 2019

Fig.2: Changchun nel film Farewell del 2019