CONSIDERAZIONI FINALI
Architetto e Ph.D in Tecnica urbanistica, DSA – Dipartimento di Scienza dell’Architettura, Scuola Politecnica di Genova
Nelle otto sezioni pubblicate in precedenza è stato presentato un vocabolario ragionato dei principali neologismi che l’urbanistica – ma non solo – utilizza per descrivere i fenomeni urbani emergenti dell’urbano contemporaneo. Tramite un approccio fondamentalmente terminologico, sono state presentate molte definizioni raggruppate in otto “famiglie”: città globali, ovvero termini che descrivono fenomeni dispersivi con equilibrata organizzazione alla scala regionale delle attività umane; territori a bassa densità, ovvero termini che descrivono il dilagare dell’urbano negli spazi aperti, con conseguente scomparsa del limite preciso tra città e campagna; modelli a rete, termini che leggono i territori della dispersione urbana come una fitta trama reticolare, fisica e virtuale, costituita da nodi gerarchici e linee di attrazione; simulacri urbani, forme urbane esclusivamente monofunzionali che aspirano a divenire città compiute e autosufficienti; patchwork urbani, metafore che descrivono le nuove forme territoriali nate disordinatamente su una trama scomposta e variegata, amalgamate e unite dalle grandi arterie dei trasporti o delle reti telematiche; città rurali, termini utilizzati per definire le forme dispersive in cui si realizza una sintesi tra comunità autoctona e popolazione di nuovi residenti; nuove campagne, ovvero termini che propugnano una rinascita della campagna, piuttosto che un’invasione tout court dell’urbano negli spazi aperti; allegorie biologiche, ovvero termini che collegano metaforicamente le forme insediative urbane agli organismi viventi. È da mettere in evidenza come questi numerosi termini raccolti e presentati (ben 46!), non esauriscono di certo la totalità dei neologismi con cui la disciplina tenta di designare e denotare i fenomeni urbani emergenti contemporanei. L’intento, quindi, non poteva essere altro che quello di dare testimonianza della natura multiforme della città contemporanea, e non di proporre una definizione “definitiva”.
Tuttavia, anche al termine di un excursus incompleto, è possibile avanzare alcune considerazioni, anche se non conclusive data la volatilità dei significati e la comparsa/scomparsa repentina di nuovi lemmi.
Innanzitutto, attraverso i termini presentati, è possibile riconoscere tre diverse “fasi” cronologiche, distinte tra loro. Nella prima fase – che può essere definita “morfologica” – l’analisi disciplinare pone principalmente l’attenzione sugli aspetti formali che connotano l’emergere dei nuovi insediamenti oltre la città compatta. Nel loro insieme, questi fenomeni sono identificati come agglomerazioni molto estese e tuttavia lasche, discontinue, in cui il tessuto insediativo e infrastrutturale appare morfologicamente dominante e dove la campagna appare residuale ed emarginata in una trama di edificato filiforme o a chiazze. Tutto ciò è molto evidente nel termine megalopoli, apparso alla fine degli anni ’60 e ormai utilizzato ben al di là del ristretto linguaggio disciplinare.
In una seconda fase l’attenzione degli studiosi ha iniziato ad affinarsi, oltrepassando la basilare analisi degli elementi morfologici della città dispersa. I termini/concetti coniati in questa fase, benché individuati ancora a partire da indicatori di tipo demografico, morfologico e gravitativo (flussi di pendolari, di merci, ecc.), mettono l’accento su due particolari aspetti: l’avvento di nuovi processi urbani e l’estensione spaziale nella quale questi ultimi si sviluppano. A ben vedere, in questa fase, che si può definire come “morfologico-processuale” e considerare come maturazione della precedente, non si mette in evidenza solo la sostituzione del concetto di città compatta con qualcosa d’altro, ma si evidenzia la profonda mutazione in atto nei comportamenti degli abitanti, determinata da tutta una serie di fattori concomitanti: l’innalzamento dei valori immobiliari, la diffusione di nuovi servizi alle famiglie e alle imprese, il miglioramento dell’efficienza dei trasporti, il crescente pendolarismo urbano, la diffusione nelle aree rurali di una qualità di vita simile a quella urbana. Città a rete e città diffusa sono i due termini che riassumo molto bene questa fase.
La terza fase, infine, è attualmente in atto sotto l’influenza della nuova coscienza ecologica, favorita anche dall’affermarsi sempre più spinto delle moderne tecnologie informatiche, parallelamente alla diffusione di stili di vita meno propensi al radicamento in un luogo specifico e alla possibilità di svolgere le attività lavorative con maggiore flessibilità rispetto al passato. Questa fase prospetta un ribaltamento della prospettiva urbanocentrica attraverso la quale si è sempre indagato il fenomeno della dispersione insediativa negli spazi aperti. Il concetto/definizione di campagna urbana è estremamente calzante per riassumere questa fase ancora in formazione.
Inoltre, è possibile presentare alcune considerazioni più profonde, oltre la suddivisione cronologica dei termini in più fasi, la prima delle quali appare quasi scontata: molti termini sono in larga misura superati, in seguito ai cambiamenti tecnologici, economici e sociali. Ciò significa che, anche all’interno della stessa “famiglia”, è possibile ritrovare termini che si presentano come alternativi rispetto ad altri ormai considerati obsoleti. È il caso di suburbia e di edge city, sostituiti da post-suburbia ed edgeless city.
Una seconda constatazione riguarda il carattere progressivamente privato o privatista dei nuovi processi urbani, ragione per cui molti termini assumono un connotato esplicitamente negativo. La sensazione è che si stia perdendo uno dei fattori determinanti della città, lo spazio pubblico e il non costruito. Il termine che descrive appropriatamente questo connotato è privatopia, insieme con le forme riconducibili alla “famiglia” dei simulacri urbani.
Un altro aspetto, anch’esso critico, riguarda la preoccupazione con la quale si considera il modello urbano a bassa densità, una preoccupazione dovuta a diversi motivi: da quelli ambientali e funzionali attuali, a quelli riguardanti il futuro degrado del modello. Per questa ragione, se da una parte si trovano definizioni che, in qualche misura, prospettano un’ulteriore de-densificazione, dall’altra se ne trovano altre che propongono e giustificano l’addensamento del suburbia: post-metropolis, dispersione urbana e urban sprawl, città sparpagliata, così come tutti i termini delle “famiglie” dei patchwork urbani e delle città rurali.
Una quarta considerazione riguarda il fatto che la stragrande maggioranza dei termini presentati prende le mosse da un’analisi critica nei confronti della contemporaneità, di volta in volta considerata formalmente e/o funzionalmente difettosa e disordinata, quando non del tutto caotica. Partendo da questo presupposto, i concetti proposti tendono ad imporre un nuovo ordine in contrapposizione al disordine, come nella global city, e come in tutte le forme “organiche” delle allegorie biologiche; oppure, elevano l’inevitabile caos a nuovo ordine, come nella definizione più pura di sprawl, di spread city e di città generica.
In definitiva, il Lessico dell’urbano, come ogni vocabolario metodico che tenta di raccogliere e organizzare i termini che descrivono la città, ovvero il maggior costrutto materiale e immateriale umano, rimane aperto a nuovi contributi.